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Emozioni: perché sono importanti per il benessere e la performance

Allenare le competenze dell’Intelligenza Emotiva, come comprendere e gestire le emozioni, sapersi relazionare in modo empatico, avere chiaro il proprio senso di scopo, è fondamentale in questo contesto economico e sociale, e sarà sempre più importante nel futuro.

Sviluppare queste capacità, ci consente di raggiungere un equilibrio di vita più sostenibile, quindi di maggior benessere, e di essere più efficaci nella nostra vita professionale

Comprendere e gestire le proprie emozioni, non è stato mai così importante come ora.

Ormai da anni viviamo in un ambiente economico e sociale definito “VUCA” (Volatile, Incerto, Complesso e Ambiguo), caratterizzato da cambiamenti sempre più frequenti e repentini, spesso non facilmente prevedibili.

Recentemente, la pandemia ha reso poco attuale il VUCA ed è stato coniato un nuovo acronimo per definire il nuovo contesto: il BANI, che sta per fragile (Brittle), ansioso (Anxious), non-lineare (Nonlinear), incomprensibile (Incomprehensibile)

La competitività, il progresso tecnologico e la robotizzazione, la continua ricerca all’innovazione, richiedono non solo un apprendimento continuo di nuove competenze per eseguire il proprio lavoro (upskilling), ma anche lo sviluppo di capacità per un eventuale compito diverso (reskilling).

La pandemia prima, seguita dal conflitto in Ucraina e la situazione economica – finanziaria, hanno ulteriormente accentuato questa condizione, velocizzando molti processi già in atto; siamo nel bel mezzo di un forte fenomeno trasformazionale che mette sotto stress sistemi e paradigmi, alterando equilibri che credevamo stabili.

Inoltre, l’impatto di questi avvenimenti sta influendo negativamente sulla crescita economica oltre ad ostacolare i progressi verso l’inclusione sociale e il benessere mentale

Si parla sempre più spesso di burnout e le aziende stanno dando sempre più attenzione a questo aspetto.

Che emozioni suscita nelle persone questo contesto?

La volatilità causa pauraavversione per il rischio e ci porta a sentirci reattivi, sul paradigma della sopravvivenza.

L’incertezza e l’ambiguità favoriscono dubbisfiducia ed esitazione, perché investiamo troppo tempo nell’analizzare i dati (che cambiano rapidamente), impedendo una presa di decisione efficace.

L’ultimo Rapporto Censis «La società italiana al 2022», parla di “nuova età dei rischi”, dove l’immaginario collettivo si è abituato all’idea che tutto può accadere, anche l’indicibile. Dal rapporto emerge che:

  • il 66,5% degli italiani (oltre 10% in più rispetto al 2019 pre-Covid), dopo gli eventi che hanno stravolto il quotidiano, si sente insicuro pensando al futuro proprio e della propria famiglia: due italiani su tre sono pervasi dall’insicurezza 
  • l’89,7% degli italiani dichiara che, pensando alla stringente successione di pandemia, guerra, crisi energetica e ambientale, prova una tristezza di fondo, e il 54,1% (che raggiunge il valore massimo, 59,5%, nella fascia 18-34 anni) avverte la forte tentazione di restare passivo, senza prendere iniziative, blindandosi nel privato.

L’impatto nella vita professionale e sulle organizzazioni

Le persone e le organizzazioni si trovano ad affrontare situazioni sempre più sfidanti per rimanere competitive (o semplicemente sopravvivere) e adattarsi velocemente al cambiamento.

Le persone si sentono stressate per il carico eccessivo di lavoro o per un’organizzazione poco efficace delle attività, che spesso rincorre le scadenze, e questo porta a basse performance e a sentirsi sopraffatti.

Alcune statistiche che emergono dall’ultimo rapporto Gallup “State of the Global Workplace 2022” per i lavoratori italiani:

  • il 27% dichiara di percepire molta tristezza durante la giornata, il 49% si dice molto stressato, il 45% si sente preoccupato e il 16% sperimenta rabbia
  • solo il 4% si sente realmente coinvolto nel suo lavoro 

Le aziende devono gestire fenomeni come le grandi dimissioni, il quiet quitting, attrarre e trattenere i talenti, in particolare i giovani della generazione Z.

I leader, in particolare si trovano di fronte a molte sfide come:

  • Guidare il team a distanza o in modalità ibrida
  • Affrontare un contesto stressante e allo stesso tempo creare un clima dove le persone possono lavorare nel migliore dei modi possibili
  • Prestare più attenzione alle tematiche di Diversity & Inclusion: essere più inclusivo gestendo la diversità generazionale, culturale, di genere
  • Allenare le persone al cambiamento e facilitare il loro sviluppo
  • Saper coinvolgere le persone negli obiettivi comuni

Quali competenze allenare in azienda e soprattutto per chi ricopre un ruolo di leader?

In questo contesto sfidante, di continuo mutamento e incertezza, si rivela importante “diventare bravi con le emozioni” e allenarsi nelle competenze dell’Intelligenza Emotiva.

L’importanza dell’Intelligenza Emotiva è confermata anche dal World Economic Forum (The Future of Jobs, 2020), che la inserisce nella classifica delle 15 competenze più importanti che saranno richieste nel mondo del lavoro nel 2025.

Cos’è l’Intelligenza Emotiva?

È la capacità di saper riconoscere e gestire le proprie e altrui emozioni; sapersi relazionare tramite l’empatia, comprendere e fissare obiettivi legati ai nostri valori e il nostro senso di scopo.

È saper integrare la nostra parte razionale alla parte emozionale per avere più consapevolezza di sé stessi, essere più efficaci e produttivi.

Infatti, le ricerche confermano che, a parità di competenze tecniche, chi ha un’alta Intelligenza Emotiva ha il 55% circa della possibilità in più di avere successo, di avere un’alta performance e un equilibrio psico-fisico migliore.

Inoltre, più è alta l’Intelligenza Emotiva, minore è l’impatto dello stress, della sua percezione.

Dall’ultimo report “State of the Heart” di Six Seconds emerge che “l’intelligenza emotiva è correlata alla progressione della carriera delle donne. Le donne manager hanno un punteggio di IE più alto del 2% rispetto alle donne dipendenti. Le donne dirigenti hanno un ulteriore 2% in più rispetto alle donne manager.”

La buona notizia è che l’Intelligenza Emotiva si può allenare, ed è importante soprattutto per chi è un Leader in azienda, per chi lavora in team, per chi ambisce a ricoprire livelli gerarchici più elevati. 

Perché le emozioni sono importanti?

Alcuni fatti sulle emozioni da tenere in considerazione:

  1. Tutte le persone sono in grado di provare emozioni e in ogni momento. Le emozioni sono reazioni chimiche che partono dal nostro cervello e vanno in tutto il corpo. Quello che cambia da persona a persona è il modo di vivere le emozioni, la loro intensità, e la sua interpretazione. 
  2. Le emozioni influenzano il nostro modo di pensare, sentire e agire. A seconda del nostro umore possiamo percepire diversamente ciò che ci circonda, un atteggiamento o una frase di un collega, per esempio. E, di conseguenza, le emozioni influiscono anche sul nostro modo di reagire al contesto. Questo perché pensieri ed emozioni sono fortemente intrecciati e viaggiano sugli stessi percorsi neuronali.

Infatti, le emozioni influenzano i pensieri e i pensieri hanno un impatto sulle emozioni.

  • Le emozioni sono contagiose. Per questo un leader Emotivamente intelligente riflette sull’impatto che vuole avere nell’ambiente lavorativo al fine di creare un clima favorevole dove le persone si sentono a loro agio e possono esprimere loro stesse al meglio.
  • Le emozioni contengono informazioni ed energia. Le emozioni sono un messaggio che noi mandiamo a noi stessi, che possiamo decidere se ascoltare o meno. Daniel Goleman afferma che l’88% di una presa di decisione importante è dettata dalla spinta emotiva: se non siamo consapevoli delle nostre emozioni e non ne ascoltiamo la saggezza, come possiamo prendere decisioni efficaci? 

Inoltre, sono fonte di energia: la rabbia, o la paura che sono emozioni spesso viste come negative, invece, sono molto utili perché se le usiamo ci muovono e ci danno la spinta per agire.

Questi fatti concreti e provati scientificamente, ci fanno comprendere l’importanza di integrare le “informazioni emotive” nella nostra vita e nelle sfide quotidiane, perché trascurarle vorrebbe dire escludere una parte fondamentale di noi.

In conclusione, riconoscere e gestire le proprie emozioni e relazionarsi con l’altro connettendosi con l’empatia è e sarà un plus per una performance ottimale e per un migliore equilibrio psicologico.


L’articolo è una riscrittura di quello scritto per Sesvil nel suo periodico “Sesviland 03 – 01 2022 – Emozioni in Azienda”

Riferimenti:

  • Intelligenza Emotiva: al cuore della performance – Joshua Freedman
  • Rapporto Censis “La società italiana al 2022”
  • Gallup “State of the Global Workplace 2022 Report”
  • WEF, The Future of Jobs 2020
  • Il lato positivo dello stress – Kelly Mc Gonigal
  • State of the Heart 2021, Six Seconds

Intelligenza Artificiale e Intelligenza Emotiva: la collaborazione del futuro

Articolo scritto con Giacomo Bosio apparso su QI – Quale Impresa – La rivista dei giovani imprenditori – maggio/giugno 2019

 

Possono intersecarsi e collaborare Intelligenza Artificiale e Intelligenza Emotiva? In questo contesto di incertezza ed estremamente mutabile, di vera scoperta della tecnologia e del digitale, porci questa domanda e trovare le risposte è fondamentale

Siamo immersi in un contesto economico e sociale che viene definito VUCA, sempre più volatile, complesso, incerto e ambiguo che sta rivoluzionando le nostre vite e in particolare l’organizzazione delle imprese e del lavoro

Le nuove scoperte in ambito tecnologico, in particolare l’Intelligenza Artificiale, stanno impattando fortemente sia l’ambito sociale sia quello organizzativo, e d’altra parte è sempre più necessario sviluppare delle competenze “soft”, che consentano di adattarsi in maniera sostenibile al nuovo scenario.

Da un lato, alcune attività, soprattutto quelle più ripetitive, ma anche quelle cognitive, verranno svolte da algoritmi di Intelligenza Artificiale, mentre diventa sempre più strategico allenare le capacità emotive e relazionali, tipiche dell’Intelligenza Emotiva.

Come possono intersecarsi questi due mondi apparentemente molto diversi e distanti?

Intelligenza artificiale e intelligenza emotiva: cosa sono?

Possiamo farci tante domande, pensare a varie applicazioni, ragionare su scenari fantascientifici e apocalittici, ma chiediamoci, innanzitutto, cosa siano queste due intelligenze.

Intelligenza artificiale

/in·tel·li·gèn·za ar·ti·fi·cià·le/

L’intelligenza artificiale è una disciplina che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.

Intelligenza emotiva

/in·tel·li·gèn·za e·mo·tì·va/

L’intelligenza emotiva è un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. È la capacità di relazionarsi in maniera efficace, entrando in empatia con l’altro, oltre alla capacità di darsi una direzione di vita.

Intelligenza artificiale: opportunità e sfide

Se dicessimo che le nostre vite e il nostro lavoro non saranno in alcun modo intaccati da questo cambiamento, diremmo qualcosa di molto lontano dalla realtà.

Le opportunità offerte dai sistemi che fanno uso di intelligenza artificiale sono molteplici: le macchine sono oggettivamente più efficienti e veloci di noi umani nella gestione e interpretazione di grandi moli di dati, nell’effettuare calcoli complessi e nell’automatizzare processi.

In pratica, potremmo creare un sistema per la gestione dei nostri Clienti in grado di rispondere 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza stancarsi.

Potremmo anche avere un software in grado di analizzare le conversazioni online relative al nostro brand per capire quello che è il sentiment intorno al nostro marchio e analizzare le azioni/reazioni che si verificano sui vari canali in seguito a una campagna marketing.

Potenzialità che vanno probabilmente oltre la nostra immaginazione e che creano non pochi dubbi sull’utilizzo e l’eticità di questo tipo di tecnologie. Gli algoritmi di machine learning e deep learning hanno subìto una tale evoluzione da riuscire a risolvere problemi che anni fa avremmo ritenuto impossibili e, quando lo fanno, l’umano non è sempre in grado di ricostruire il processo cognitivo della macchina. In sintesi: sai che ha funzionato e che il risultato è corretto, ma non sai sempre il perché.

Tutto questo avrà sicuramente anche un impatto sui lavori: non è un caso che il 60% degli attuali lavori possa essere automatizzato al 30% con l’utilizzo di sistemi intelligenti[1] e che il World Economic Forum ipotizzi che 5 milioni di posti di lavoro andranno persi nei prossimi anni a causa dell’intelligenza artificiale (AI), della robotica e altri fattori socioeconomici.

Quali competenze diventeranno più importanti per essere competitivi sul posto di lavoro del futuro?

Secondo le discussioni del WEF, nell’ambito dello studio del “Future of work”, Intelligenza emotiva, adattabilità e disponibilità ad apprendere, saranno le capacità che maggiormente consentiranno la sopravvivenza dei posti di lavoro. Infatti, l’Intelligenza Emotiva è indicata dal WEF al 6° posto tra le 10 competenze che saranno sempre più richieste nelle persone a partire dal 2020, che è alle porte.

Nasceranno altri lavori, nuove competenze: è quindi fondamentale guardare all’innovazione con particolare attenzione, al fine di non farsi trovare impreparati anche e soprattutto su quelle competenze che vedono le macchine in svantaggio rispetto all’umano.

Perché è importante l’intelligenza emotiva?

L’Intelligenza Emotiva (IE o QE quoziente emotivo) è l’abilità di utilizzare le emozioni in maniera efficace: è un insieme di competenze che ci permette di integrare la parte razionale del nostro cervello con quella emozionale.

Riguarda la comprensione di noi stessi, dei nostri umori e sentimenti, dei nostri obiettivi. È la capacità di auto-motivarci e gestire i nostri stati mentali ed emotivi anche quando siamo sotto stress. Significa comprendere l’altro e le sue emozioni per rapportarci in modo efficace aumentando il coinvolgimento nei nostri obiettivi.

Nel lavoro, sicuramente ha più probabilità di avere successo chi ha delle competenze tecniche più sviluppate di altri e un QI maggiore. Ma spesso non è proprio così scontato, anzi, l’intelligenza analitica da sola non basta.

Le competenze tecniche ovviamente servono, ma da sole non sono sufficienti a farci avere successo nella vita. Ricerche mostrano che oltre il 50% dei fattori di successo di una persona, quindi la sua performance personale, e dunque la sua efficacia, dipendono dall’Intelligenza emotiva[2].

Chi ha una IE sviluppata agisce intenzionalmente invece che reagire, è quindi capace di creare uno spazio di riflessione che, integrando emozioni e dati analitici, porta ad una capacità decisionale più efficace e sostenibile.

Daniel Goleman, psicologo americano esperto di IE, ha dichiarato che quando si tratta di prendere una decisione importante, la parte relativa alla spinta emozionale conta in media l’88%. Essere consapevoli delle proprie emozioni è quindi fondamentale per prendere delle decisioni veramente efficaci, anche in situazione di forte stress.

Se sappiamo essere coscienti delle emozioni e riusciamo ad integrarle con la nostra parte razionale, aumenteremo la conoscenza di noi stessi, la nostra capacità relazionale e la nostra efficacia nel raggiungere gli obiettivi. Al contempo riusciremo a coinvolgere gli altri nella nostra missione.

Le emozioni sono infatti delle informazioni che ci arricchiscono, sono energia che possiamo utilizzare e ascoltare per avere maggiore consapevolezza.

Le abilità dell’IE sono fondamentali per la leadership, il team work, il customer care, le relazioni personali e la salute.

Inoltre, queste competenze possono essere acquisite e allenate per aumentare la propria IE e quindi la propria performance.

Integrare le capacità di Intelligenza Emotiva significa favorire la trasformazione delle competenze delle persone da hard skills, legate ad una visione fordista dell’organizzazione, a soft skills, necessarie per un’industria innovativa.

Uno scenario di collaborazione uomo – macchina

Che fare, quindi? Non ci resta che utilizzare le competenze umane per progettare e collaborare con le macchine.

La progettazione di un sistema intelligente non ci esime da considerare le basi di quella che è l’interazione uomo – macchina e di come noi umani siamo abituati ad interagire con quello che ci circonda.

Lato utente, poi, dobbiamo iniziare a non vedere più le macchine e i sistemi intelligenti come meri strumenti, ma come partner. Tecnologia non in sostituzione dell’umano, quindi, ma al nostro servizio con il fine di estendere quelle che sono le nostre capacità per compensare le nostre debolezze e compiere task in maniera più efficiente e veloce.

Un esempio? Un team dell’Università di Harvard ha compiuto un esperimento sulla diagnosi del cancro. L’intelligenza artificiale, da sola, è riuscita a fare una diagnosi corretta nel 92% dei casi. Risultati migliori per il medico esperto, che ha raggiunto il 96% di successo. Il dato incredibile, però, è quello che è uscito dalla collaborazione fra uomo e intelligenza artificiale, dove si è registrata una diagnosi corretta nel 99,5% dei casi.

In effetti AIDP (Associazione Italiana Direttori del Personale), nella ricerca “Robot, intelligenza artificiale e lavoro in Italia“, conferma che per il 56% delle aziende, l’intelligenza artificiale avrà soltanto la finalità di supportare le persone. AI come estensione delle attività umane e non un rischio per la loro sostituzione. Si parla in questo caso di Augmented Intelligence[3].

La Trasformazione

C’è un altro dato interessante che emerge dall’analisi di un panorama fatto di soft skill e di nuove competenze tecnologiche: le imprese che meglio si stanno comportando su tematiche legate alla Trasformazione Digitale, sono proprio quelle che promuovono molto il lavoro in team, valorizzando la partecipazione dei lavoratori.

Si parla quindi di organizzazioni che abbandonano la vecchia gerarchia verticale per lasciare spazio a quella orizzontale, dove la leadership diffusa diventa centrale e dove le nuove tecnologie diventano un aiuto e un incentivo a mantenere attive le relazioni. Trasformazione che può essere possibile solo grazie allo sviluppo e all’integrazione di competenze “soft” che facilitino la collaborazione e la comunicazione nell’organizzazione e che rendano le persone più flessibili e veloci nell’accogliere i cambiamenti sempre più repentini.

Proprio da queste pagine, parlavamo del cambio culturale necessario per avviare in azienda un progetto di smart working. Evoluzione delle competenze, nuove tecnologie, soft skill, team smart e un nuovo modo di concepire il lavoro nello spazio e nel tempo: questi gli ingredienti del lavoro del futuro. Perché l’innovazione è prima di tutto un’opportunità.

[1]Fonte: dati Osservatori Politecnico di Milano

[2] https://www.6seconds.org/2019/03/12/white-paper-emotional-intelligence-and-success/

[3] IBM si riferisce a Watson, il suo motore di AI, parlando di Augmented Intelligence e non di Artificial Intelligence.

Paura e rabbia sono energia?

Come queste emozioni diventano strumenti utili per agire con Intelligenza Emotiva

Le emozioni che più vedo, leggo sui social, ascolto dalle persone con cui sono in contatto (virtuale soprattutto visti i tempi), in questi giorni surreali dell’emergenza Coronavirus, sono la paura e la rabbia.

Paura e rabbia sono spesso considerate emozioni negative.

Parlando in termini di Intelligenza Emotiva, nessuna emozione è positiva o negativa in sé, dipende dall’utilizzo che ne facciamo, da come la tramutiamo in azione.

Le emozioni sono piacevoli o poco piacevoli.

Sicuramente rabbia e paura sono poco piacevoli, ma sono molto utili.

La paura mi può spingere a scappare, ad attaccare, a bloccarmi di fronte ad un evento inatteso e a muovermi senza prima capire le conseguenze del gesto che sto per fare, quindi agire con poca coscienza (come vedo in questi giorni).

La paura tra l’altro è un’emozione atavica, che viene dalla parte del nostro cervello più istintiva e che per secoli ci ha consentito di sopravvivere.

Allo stesso tempo però, mi sta indicando che c’è in gioco qualcosa di importante per me.

Le emozioni influenzano i pensieri e i pensieri influenzano le emozioni.

Le emozioni sono energia che possiamo utilizzare in maniera efficace.

Usare le emozioni in maniera “emotivamente intelligente” vuol dire stare dentro quell’emozione, ascoltare cosa mi sta dicendo di me, utilizzarla per qualcosa di utile

Ho paura? Allora cercherò di capire meglio come muovermi in una situazione difficile, come prepararmi bene per quell’esame, fare azioni per proteggere ciò che mi è caro.

Al contrario, non ascoltare le emozioni, nasconderle, minimizzarle, negarle o dare libero sfogo non è un comportamento emotivamente intelligente.

Allo stesso modo, la rabbia è un’emozione che se canalizzata nella giusta direzione mi aiuta a muovermi magari per fare qualcosa di utile, a mettermi al servizio dell’altro se sento che c’è stata un’ingiustizia.

In termini di competenze dell’Intelligenza Emotiva, nel modello di Six Seconds, questo si chiama “Navigare le emozioni”

Domande per rafforzare questa competenza

Per allenarti a navigare le emozioni fatti queste domande, che attingo dalle preziose carte EQ di Six Seconds:

  • Come stanno interagendo i tuoi pensieri e le tue emozioni?
  • Hai delle convinzioni che stanno influenzando le tue emozioni?
  • Qual è l’elemento di saggezza chiave insito nelle tue emozioni attuali?

Riflessioni personali

Non sono solita raccontare i miei fatti personali, ma vorrei condividere come ho utilizzato paura e rabbia in questi giorni di emergenza e destabilizzazione.

Vivo a Milano da oltre 16 anni, la amo, amo l’energia vitale che mi trasmette e le possibilità che ci offre, e che impegnandoti puoi cogliere.

In questo momento mi trovo in Sardegna, mia terra d’origine, dal 22 di febbraio. Sono partita in un momento in cui ancora non era chiara la gravità della situazione e dovevo rimanere solo 4/5 giorni. Una visita ai miei genitori già pianificata.

Mi sono trovata già il giorno dopo in una situazione inattesa e mai sperimentata. Destabilizzata.

Mi sono messa in quarantena volontaria e venerdì scorso è stato l’ultimo giorno. Ora rimarrò qui fino a che la situazione non migliorerà e soprattutto spostarsi non comporterà rischi più per nessuno.

Ho utilizzato la paura di ledere ai miei cari e agli altri per prendere queste decisioni.

E ho usato la rabbia che mi è scaturita nel leggere comportamenti poco responsabili per scrivere questo post.

E tu come puoi usare saggiamente rabbia e paura?

Se vuoi leggere qualcos’altro sull’Intelligenza Emotiva ne ho scritto in questo post

Sei sicuro di volere la promozione?

Fare carriera e diventare “capo” è un’ambizione di molti, ma è anche un grosso cambiamento. Tu sei pronto?

Finalmente dopo anni sembra essere il tuo turno! Hai ottenuto una promozione e guiderai un team di persone.

Fare carriera e ricoprire incarichi di responsabilità è l’obiettivo di molti. Non solo per il compenso economico, ma anche per il riconoscimento che questo comporta, da parte dell’azienda e dei propri responsabili. È poi una prova tangibile che si sta lavorando bene e che i nostri sforzi sono stati ripagati.

Ma è tutto oro quello che luccica? Sei veramente preparato a fare il salto di qualità?

Ho già parlato in un mio precedente post di Marco che non era stato promosso perché non aveva i requisiti “giusti”, qui affronto le sfide che devi affrontare quando aumenta il tuo ruolo di responsabilità.

Non è tutto oro quel che luccica

Spesso fare carriera internamente, cioè crescere nella stessa azienda, è un gran cambiamento, e come tale, se non gestito, e affrontato con i giusti strumenti e preparazione, può mettere in difficoltà.

Sicuramente te lo sei meritato, hai lavorato tanto, ti mantieni costantemente aggiornato, non ti sei mai tirato indietro di fronte a carichi di lavoro impegnativi e lavori bene con i tuoi colleghi.

A cambiare non sarà solo il tuo “job title” su LinkedIn e il tuo posto nell’organigramma aziendale, ma la sfida è sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista della tua forma mentis del lavoro.

Infatti, quando ti trovi a gestire un team, per quanto tu possa essere preparato nelle competenze tecniche, devi sviluppare (o accrescere) delle competenze e degli strumenti.

Quali sono le sfide?

Prima colleghi ora collaboratori

Una prima difficoltà a cui ti puoi trovare davanti è che quelli che prima erano i tuoi colleghi diventano i tuoi collaboratori. Se già gestivi un team di persone e ora sei responsabile dell’intera area, ora diventerai il capo dei tuoi ex parigrado.

Anche se hai dei rapporti splendidi dal punto di vista personale e lavorativo, il modo di relazionarsi deve cambiare per forza di cose.

Se magari le risorse più junior potrebbero non risentire del cambiamento nel team, i colleghi con la seniority simile alla tua, in alcuni casi maggiore, possono accusare il colpo.

E non riconoscerti come capo, il che ti farà tribolare un bel po’.

Pensa a quelle situazioni in cui il capo arrivava con la richiesta di produrre quei dati “per ieri” perché c’era un’urgenza e tu e i tuoi colleghi vi guardavate tra di voi alzando gli occhi al cielo. Ecco, ora il capo sei tu! E spesso dovrai fare delle richieste del genere perché arrivano dall’alto e non puoi dire di no.

In questo caso, sicuramente ci vorrà del tempo per accettare la nuova situazione, ma devi essere bravo tu a gestire il nuovo contesto con un po’ di pazienza, adottando un comportamento più consono al nuovo ruolo e trovare il nuovo equilibrio.

Certo se sei sempre andato con loro a prendere il caffè o in palestra, ora dovresti comunque rimodulare opportunità e modo di rapportarti fuori e dentro l’ufficio con nel tuo nuovo incarico.

Cambiare prospettiva, diventare meno operativo e delegare

L’azienda ora si aspetta da te non più di smazzare numeri e produrre decine di report, ma molto di più: che tu sappia gestire il tuo lavoro e quello delle altre persone.

Dipende dal ruolo, ma sicuramente il tipo di lavoro che andrai a svolgere sarà più volto al coordinamento del lavoro e delle risorse.

E ovviamente devi essere meno operativo, che ovviamente non vuol dire che devi smettere di lavorare, ma alcune cose che facevi prima le devi delegare per poi verificarle una volta fatte.

Non puoi fare il lavoro che svolgono già i tuoi colleghi e sovrapporti.

Dovrai avere uno sguardo “più alto” sull’attività, sviluppare la visione d’insieme e coordinare invece che macinare i dati.

Devi sviluppare delle capacità trasversali

Già perché appunto puoi essere bravissimo sulle capacità tecniche, ma ora devi sviluppare capacità relazionali e di leadership.

Questo attiene maggiormente alla sfera dell’Intelligenza Emotiva, alle famose soft skills che ormai sono necessarie per chiunque, figurarsi per chi ricopre ruoli di responsabilità.

Intendo la capacità di ascoltare attivamente, coinvolgere, gestire le emozioni e lo stress, tanto per citarne qualcuna.

Dovrai sviluppare nuovi strumenti

Devi anche dotarti di strumenti quali:

  • Dare un feedback. Avevo già affrontato questo argomento in un post, non è facile dire certe cose e trovare il giusto modo per farlo, ma ora che hai delle responsabilità non puoi mancare di farlo con i tuoi collaboratori. Anche se difficile è per loro, ma anche per te, una grande occasione di crescita. Allo stesso modo dovrai imparare ad incassarli.
  • Delegare. Lo so che a volte, anzi forse spesso, faresti prima tu a fartelo da solo, ma non è questo il modo di gestire il lavoro delle persone e soprattutto farle crescere professionalmente. “Ghe pensi mi” non è un buon metodo di gestire un team: inizia a sviluppare fiducia nei confronti delle tue risorse. Controllerai dopo il lavoro e darai un feedback (vedi sopra) di miglioramento nel caso abbiano sbagliato qualcosa. E sì, la responsabilità è tua!
  • Saper monitorare. Anche il controllare il lavoro va saputo fare, perché se ogni 5 minuti chiedi “Cosa stai facendo” e “A che punto sei” non stai aiutando il tuo collaboratore a lavorare bene, ma stai facendo pressione che si può ripercuotere negativamente sul lavoro.
  • Gestire il tempo e l’agenda. Monitorare i progetti e il tempo non solo tuo, ma anche dei tuoi, saper fissare dei punti di verifica, creare momenti condivisi o meno. Sull’agenda leggi qui.
  • Saperti dare degli obiettivi SMART. Il che vuol dire, come saprai dall’ampia letteratura, che devono essere misurabili, temporalizzati, realistici ecc e che devi saper coinvolgere anche i tuoi collaboratori nell’aiutarti a raggiungerli.

In effetti sono tante le sfide, e sono sicura che saprai affrontarle con determinazione e strategia!

 

Se stai per fare questo tipo di cambiamento, guarda qui il mio percorso.

Se sei a Milano ad Aprile tengo due workshop su “Fare Networking

Vincere o perdere? Questione di Intelligenza Emotiva

Vincere o perdere. Dipende dal tuo atteggiamento: come vincere lavorando sulla propria Intelligenza Emotiva

Capita di sperimentare dei momenti in cui tutto va storto o qualcosa a cui teniamo molto non va a buon fine.

Cerchiamo lavoro da mesi e continuiamo a fare colloqui senza esito positivo; la promozione che non arriva mai; quel progetto su cui tanto avevamo investito non decolla…

Demoralizzarsi è molto facile in questi casi.

Una cosa che ho imparato dal buddismo e che poi ho consolidato grazie al coaching è che “nella vita puoi vincere o perdere”.

Al di là del significato prettamente buddista, questo principio nasce dal nostro atteggiamento nell’affrontare le difficoltà della vita.

Cosa vuol dire?

Il concetto di “vincere o perdere” si riferisce a un conflitto interiore tra il senso di fiducia e il sentirsi sconfitti, tra continuare ad avere speranza e sentirsi rassegnati, in preda allo sconforto.

Vincere in sostanza significa che, pur avendo sperimentato dei fallimenti o delle delusioni, non ti senti mai sconfitto e continui ad andare avanti a perseguire il tuo obiettivo, cercando di imparare dall’esperienza, riprovando ancora e ancora o comunque cercare di migliorare il nostro approccio, ridefinire il nostro piano d’azione.

Mi spiego meglio: se tu sperimenti un fallimento e comunque non ti arrendi, non ti senti un perdente, hai vinto perché continui a persistere in ciò in cui credi e soprattutto la percezione del tuo valore non cambia, non si lede la fiducia che hai in te e nel tuo progetto.

Puoi anche cambiare strada, se quello che stavi perseguendo alla fine si rivela un buco nell’acqua, puoi trovare un altro modo: è proprio l’atteggiamento interiore che cambia il nostro stato d’animo e ci fa uscire comunque vincenti dall’esperienza pur negativa.

Per non andare lontano nel portare esperienze, qualche giorno fa ho incontrato una persona per proporre una collaborazione per un progetto a cui tengo molto (e a cui sto pensando da un po’) e alla fine del colloquio è emerso che non ci sono spazi per inserire il coaching nella sua realtà di consulenza.

Sicuramente poi non sono andata a ballare la macarena o a brindare con lo Spritz, ma poi ho pensato ai ragazzi che hanno inventato Airbnb. Ora li conosciamo tutti, ma pare che abbiano sperimentato qualcosa tipo 600 (seicento) rifiuti prima di trovare un investitore che veramente credesse in loro. Eppure non si sono arresi! E poi ho pensato a questo principio buddista che mi ha ispirato l’articolo.

Cosa fa la differenza tra un vincente e un perdente?

Per avere l’atteggiamento vincente non c’è bisogno di essere il Dalai Lama, ma semplicemente di allenare la tua intelligenza emotiva. Ne ho già parlato qui e qui.

In particolare, un vincente è forte in queste competenze dell’intelligenza emotiva:

  • Perseguire obiettivi eccellenti: quando i tuoi obiettivi nel lungo termine sono legati a ciò che è importante per te, ai tuoi valori, quello che fai, anche le tue azioni quotidiane sono guidate da questo: ti aiuta a stringere i denti e ad andare avanti, a crederci nonostante tutto.
  • Allenare l’ottimismo: non è la competenza che ti fa assomigliare a Pollyanna, ma è quella capacità che quando le cose si fanno difficili invece di sentirti vittima delle circostanze, ti fa focalizzare sulle soluzioni e sul fatto che in un modo o nell’altro ce la farai e troverai una via d’uscita.
  • Trovare la motivazione intrinseca: è appunto trovare la tua energia e la tua motivazione interiore per andare avanti, e trovarla in ciò che è importante per noi
  • Navigare le emozioni: riuscire a stare in quell’emozione, senza rifiutarla o sopprimerla, o al contrario dandole libero sfogo, ma semplicemente accettarla e utilizzarla come energia “costruttiva”.

Non è facile, lo so,  non sempre si hanno poi le stesse energie per affrontare le “onde alte” nuotando nel mare della vita, a volte si beve un po’, ma l’importante è continuare a dare delle bracciate per arrivare a riva.

E ricordati che l’Intelligenza Emotiva si può allenare!

Dai un’occhiata al mio percorso per allenarti nelle competenze emotive o lasciami un commento, fammi sapere cosa ne pensi!

Networking di successo? Prima regola: crea fiducia

Se vuoi essere un networker di successo devi costruire dei rapporti basati sulla fiducia.

Uno dei capisaldi che mi guida nella mia vita professionale, e privata ovviamente, è il valore della relazione ed è per questo che ritengo il networking fondamentale.

Il networking, ne sono convinta, è una scienza esatta: se segui alcune regole e ti poni con apertura e sincerità hai un grande ritorno e crei valore.

Affinché tu diventi un bravo networker una delle cose da cui non puoi prescindere è la costruzione di rapporti basati sulla fiducia reciproca.

La scoperta dell’acqua calda, insomma. Alla base della fiducia c’è il rispetto e la conoscenza della persona, ma ci sono delle regole da seguire o comunque delle attenzioni che se disattese possono comunque portare a ledere il rapporto.

Un esempio

Premesso che nessuno è perfetto, neanche io, ti faccio un esempio di “vita vissuta”.

Ovviamente capita a tutti di ricevere decine, centinaia di mail al giorno, rispondere a tutti spesso diventa un’ardua impresa, ma un piccolo sforzo è necessario.

Invito, mandando i dettagli via mail dopo aver invitato a voce, delle persone che conosco bene e con i quali ho una relazione ad un evento per una presentazione di un’opportunità di business. C’era anche l’aperitivo offerto, quindi la possibilità di fare networking con lo Spritz in mano, con tutti i vantaggi che ti ho elencato nel mio post.

Ecco dei comportamenti che ritengo essere lesivi del rapporto di fiducia o comunque non incoraggianti per future collaborazioni (leggi: non ti invito più e probabilmente neanche ad altre iniziative):

  • Non rispondere alla mail di invito e sparire in stile Houdini
  • Rispondere un’ora prima dell’evento (se va bene) dicendo che non vieni o che vedi più tardi se ne avrai voglia
  • Dopo che hai dato conferma, disdici la tua presenza all’ultimo momento adducendo motivi lavorativi (invece l’evento al quale ti avevo invitato cos’era?)
  • Non ti palesi anche se hai detto che saresti venuto e sparisci (Houdini 2 la vendetta)

Ovviamente la voce “imprevisti non rimandabili” non è in elenco.

Ma come si costruisce la fiducia?

Ci vuole del tempo per costruire la fiducia, per risultare credibili e due secondi per distruggere tutto.

Ovviamente citato fuori lista c’è il rispetto dell’altro, che reputo necessario e imprescindibile. Anche la gentilezza, valori che ultimamente vedo spesso disattesi, soprattutto online.

Ho individuato 7 punti:

  1. Fai quello che dici. Questo è alla base della credibilità e affidabilità di una persona: se prometti qualcosa cerca di mantenere la parola data, poi recuperare è in salita, te lo garantisco. Tornando all’esempio di prima: dici che vieni e poi fai come Houdini. Un messaggio o una mail proponendo un nuovo incontro è il minimo che si possa fare.
  2. Concedi tu fiducia per primo. Si commenta da sola, vero?
  3. Poniti con apertura, sincerità, curiosità. E ascolta! Una relazione si crea ascoltando più che parlando, non dare niente per scontato e mostra curiosità verso l’altro (che è diversa dall’invadenza). Abbiamo sempre da imparare da tutti.
  4. Dedica tempo e impegno. Si, ci vogliono tempo e dedizione per costruire relazioni, fa parte anche questo del tuo lavoro. Io per esempio, segno nella mia App agenda il tempo per il networking con il blu, e oltre a incontri ricorrenti, tipo il capitolo BNI, ho almeno 2 incontri a settimana.
  5. Dai prima di ricevere. Questa è la regola aurea del networking, e quindi del creare fiducia. Dai senza aspettare niente in cambio. Un esempio? Penso a quante volte, nella Rete al Femminile Milano o nel BB Club ci scambiamo pareri professionali tra di noi, oltre a darci supporto, senza alcun doppio fine. E PS, si facciamo anche business tra di noi!
  6. Non ti vendi al network ma attraverso il network. L’atteggiamento da piazzista a tutti i costi e di vendita spinta, anche se sei in un ambito business, non è premiante. Anzi. Prima crea la relazione e ricordati che spesso i tuoi clienti arrivano da relazioni di II o III livello.
  7. Presenza e non fare la bella statuina. Nel senso di costanza e di partecipazione: se ti palesi una volta su 10, continui a rimandare e posdatare, o se vieni e fai tappezzeria non parlando con nessuno il risultato non sarà molto apprezzabile Lo stesso si può dire anche online, come ad esempio su LinkedIn non interagisci con la tua rete, non commenti o condividi e non rispondi ai messaggi. Che ci stai a fare?

Questi quelli che sono venuti in mente a me.

Ne hai altri in mente e li vuoi condividere con me? Lascia un commento o mandami un messaggio!

MA COME TI PARLI?!

Quello che ti dici, il tuo dialogo interiore è fondamentale per il tuo successo. Scopri (e caccia via) il top dog

Già ma come ti parli? Per parafrasare la trasmissione televisiva “Ma come ti vesti?”. A volte facciamo più attenzione a come ci vestiamo che a quello che ci diciamo, ma peggio che avere un brutto (o poco adeguato outfit) c’è avere un pessimo dialogo interiore.

Il nostro dialogo interiore è importantissimo, tutti lo abbiamo, ma non siamo perfettamente consapevoli di quello che ci diciamo.

La senti? Quella vocina nella mente, subdola, che ti dice:

  • “Non ce la farò mai!”
  • “Mai una gioia!”
  • “Non sceglieranno mai me!”
  • “Ormai sono troppo vecchio per cambiare lavoro”
  • “Che stupida che sono”
  • “Non sono all’altezza!”
  • “È troppo difficile per me”

E sei tu stesso a dirtelo! È il tuo terribile giudice interiore, il top dog!

Cos’è il top dog?

Ho trovato questo concetto la prima volta nel libro Mollo tutto! e faccio solo quello che mi pare! di John Whilliams.

Il top dog è quella parte della nostra coscienza che ci rema contro, che ci scoraggia, che ci dice cose terribili, ci fa sentire inadeguati, che non ci aiuta insomma: un terribile giudice interiore che non ci fa mai sentire all’altezza… di noi stessi!

È vero che siamo sempre spronati a fare di più e meglio, ma non ci è utile darci sempre addosso.

Il dialogo interiore è importantissimo, fa parte della nostra Intelligenza Emotiva, perché il nostro pensiero determina le nostre convinzioni e quindi ci guida anche nell’agire. Ma la buona notizia è che lo possiamo allenare.

“Se un amico ti parlasse come talvolta parli a te stesso, continueresti a frequentarlo?”

Rob Bremer 

Già! Vorresti un amico che ti scoraggia, che ti dice che non ce la farai, che il tuo collega otterrà la promozione e tu no, eccetera eccetera.

Sarebbe ancora tuo amico? Probabilmente no! E tu di certo non ti sei amico se continui a dirti tutte queste cose! Al contrario, cosa diresti ad un tuo amico che è scoraggiato? Non cercheresti di incoraggiarlo? Io penso di si!

Allo stesso modo puoi incoraggiare te stesso! Oltre a cercare il più possibile di circondarti di persone positive.

Togli il mandato al tuo giudice interiore

Migliorare il proprio dialogo interiore e rabbonire il giudice terribile che c’è in te si può!

Ti propongo un esercizio che può essere utile, che puoi fare a mano a mano che si presentano i pensieri giudicanti.

Innanzi tutto fai caso a quello che ti dici, fai più attenzione ai tuoi pensieri: il cambiamento parte dalla consapevolezza che hai di te.

Prendi il tuo quaderno dove ti appunti i pensieri (se non ce l’hai ecco un’occasione giusta per comprarlo!) o sulla tua agenda aprilo in un punto dove hai sia la pagina destra che sinistra bianche:

  • Scrivi a sinistra tutte le cose negative che ti dici, le cattiverie che ti dice il top dog, proprio la frase tipo “non ce la posso fare”. Ogni volta che noti una frase che ti dici.
  • A destra, per ogni frase giudicante, scrivi la frase positiva corrispondente, ad esempio “Io ce la faccio!”

“Ok, che me ne faccio?”, ti starai dicendo. Innanzi tutto mettere nero su bianco ti aiuta ad avere più consapevolezza dei tuoi pensieri.

Poi ora hai una serie di frasi, positive, che ti ripeterai quando la frase negativa ti viene in testa, proprio come notare il diavoletto che ti parla all’orecchio sinistro e far parlare anche l’angioletto sulla spalla destra.

Per me ha funzionato!

Tu sei consapevole di avere il topo dog in casa?

Prova a fare l’esercizio e dimmi se il tuo dialogo interiore migliora! Commenta o scrivimi all’indirizzo cmelis@coachingpower.it

 

LA PAURA TI AIUTA. L’ANSIA NO

La paura è un’emozione utile, spesso vista come negativa, ma lo è solo se sfocia in ansia, che invece va gestita

Voglio sdoganare le credenze che di solito abbiamo verso una delle emozioni più importanti e ataviche: la paura!

La paura è una delle emozioni che si attiva in situazioni di pericolo o che noi avvertiamo come pericolose. Ai nostri antenati per esempio era di aiuto per evitare di essere sbranati da bestie feroci. Ma, parlando di questioni lavorative, a meno che tu non sia un chirurgo, o che un cliente non del tutto soddisfatto entri in ufficio con un mitra, o il tuo capo ti frusti se il tuo report non è perfetto, la paura è un’emozione che ci arriva in situazioni di incertezza o quando andiamo fuori la nostra area di comfort. Come quando dobbiamo fare una presentazione in pubblico, prima di un esame o della consegna di un lavoro importante, paura di dire o fare qualcosa di sbagliato, presentarsi ad un evento di networking da soli.

Perché è utile la paura?

Perché ci aiuta a prestare maggiore attenzione, a prepararci bene per fare il nostro speech (per paura di fare una figuraccia) o ci salva da situazioni spiacevoli, ci fa riflettere di più prima di parlare o di agire. È una fonte di energia che ci spinge ad agire e ci fa focalizzare su ciò che è importante per noi. Se fossi disinteressato a come faccio la mia presentazione, ad esempio, probabilmente la curerei poco nei contenuti e nella grafica, rimediando magari una brutta figura.

Quindi la paura è un’emozione magari poco piacevole ma funzionale al “salvarci”

E l’ansia?

Se la paura aumenta di intensità e diventa ansia, la questione cambia, perché questa emozione non ti aiuta.

Se fatichi a concentrarti, provi una sensazione di disagio forte al petto o allo stomaco, hai i l cuore a mille, ti giri e rigiri e non combini nulla di concreto perché non sai da che parte iniziare, allora forse l’ansia ti sta tenendo prigioniero e sta prendendo il sopravvento.

L’ansia spesso non ci aiuta ma ci paralizza, nel senso che non ci fa agire, non ci fa essere lucidi e usare la nostra parte razionale. Ci succede quando abbiamo tantissime cose da fare e non sappiamo come raccapezzarci, quando capita un imprevisto che ci scombina tutti i piani e dobbiamo riprogrammare tutto, o ancora il tuo capo (o cliente) arriva con una richiesta super urgente e tu non puoi dire di no, ovviamente con deadline ieri!

O semplicemente la paura incontrollata sfocia in ansia perché pensi di non farcela.

Saper gestire le emozioni, denota una buona intelligenza emotiva, come ti avevo già spiegato in un mio precedente post, allenarsi a farlo è la chiave vincente, anche per dominare l’ansia. Ti riporto sotto alcune dritte o accorgimenti che ho elaborato o fatto mie per lavorare meglio, per tenere a bada l’ansia, ma anche lo stress!

  • Fai il tuo piano d’azione! Una bella lista con carta e penna (importante) con le cose da fare mettendoli in ordine partendo dalle più urgenti e importanti. Aiutati con la matrice di Eisenhower: se è importante e non urgente, la programmi; se urgente e non importante la deleghi (leggi sotto), se non è né urgente né importante ne riparliamo poi. Depenna poi una ad una nel mentre che svolgi le attività, magari con una penna rossa.
  • Ti prego delega! Esatto, impara a delegare. Lo so, questo meriterebbe un post a parte, incontro spesso molte resistenze su questo, anche con persone che rivestono un ruolo di responsabilità, ma le cose più operative non le puoi fare tutte tu, devi imparare a fidarti e a farti aiutare.
  • Sei bloccato, sbloccati. Io adotto questo espediente: se ho fatto la lista come sopra e non riesco ad ingranare, per rompere il ghiaccio, inizio con le attività che mi cubano (parola molto amata nel mio ex ufficio) poco tempo (rispondere a qualche mail semplice, sistemare degli impegni in agenda, ad esempio). Cosi depenno qualcosa dalla lista, mi fa stare meglio e inizio di slancio.
  • Usa il metodo del pomodoro. È una tecnica famosa: si lavora ad intervalli di tempo, ad esempio un pomodoro 25 minuti, e si fa una pausa di 5, ripetendo il ciclo per quanti pomodori ti servono per fare la tua attività. Durante il pomodoro devi rimanere focalizzato e non fare nient’altro, quando scattano i 5 minuti di pausa lascia stare tutto, obbligatoriamente, e fai qualcosa di molto veloce e diverso dal lavoro. Dopo 4 pomodori ti è concessa una pausa di 15 minuti. Prova è sorprendente come migliori la concentrazione e la produttività, ti consiglio l’App BeFocused, che oltretutto tiene traccia anche di quali diverse attività fai durante la giornata.
  • Alzati e cammina! So che stai facendo di tutto per consegnare il lavoro per tempo e per fare del tuo meglio, è per questo che è consigliabile ogni 1 o 1h e ½ è meglio alzarsi dalla scrivania o smettere quello che stavi facendo per staccare un attimo. L’attenzione massima non può resistere costante, è scientificamente provato che ad un certo punto si abbassa e il tuo rendimento cala. Che tu usi la tecnica del pomodoro o meno, tieni monitorato quanto rimani seduto. Ad esempio puoi usare un fitness tracker e impostare l’allarme per un’ora, così ti ricordi e fai due passi, fosse solo per andare in bagno.
  • Impara a dire no. Anche su questo tornerò sopra con un post dedicato. Se hai delle cose da chiudere e proprio non riesci ad aiutare il tuo collega o andare a quell’happy hour di networking dillo tranquillamente, invece che improvvisare capriole e salti carpiati che ti mettono in difficoltà. È una iniezione di autostima e anche di self-care! Vale lo stesso anche con le telefonate improvvisate, whatsapp e tutti i 97 social che utilizziamo abitualmente.
  • Negozia le scadenze. Strettamente legato al punto precedente, impara a contrattare le scadenze. A meno che non ci sia un’urgenza (per ieri!) perché stanno crollando i mercati e il direttore degli investimenti vuole sapere quanto siete esposti sui titoli russi (che bei ricordi!) o il tuo cliente non ha bisogno di una tua consulenza per un momento molto critico, impara a programmare i tempi e il carico di lavoro.
  • Prevenire è meglio che curare! Te lo avranno già detto sicuramente mille volte, con questa fanno 1001: fai sport o movimento! Fa aumentare la serotonina (l’ormone del buonumore, volgarmente parlando), ti libera la mente e stimola la creatività. E ti tiene in forma, ovviamente! Non occorrono ore di allenamento, basta che usi di meno la macchina o scendi la famosa fermata prima dal tram. A Milano, per esempio, sempre con il fitness tracker di cui sopra ho scoperto che in una giornata tipo dove vado al coworking a lavorare e faccio qualche piccola commissione supero tranquillamente gli 8000 passi come ridere. Si, ci sono anche le apposite App sull’iPhone, non ti preoccupare.

 

Sono già attività che svolgi regolarmente? O qualcosa è nuovo per te?

Hai tu qualche trucco particolare che utilizzi per gestire l’ansia? Ti va di condividerlo con me? Commenta o scrivimi all’indirizzo cmelis@coachingpower.it

Grazie!

COMPITI PER LE VACANZE

Ecco qualche suggerimento, riflessione, attività da fare nella mia stagione preferita: l’estate!

Luglio ormai è arrivato, sei ancora in città, fa un caldo tremendo e non vedi l’ora che arrivino le tue tanto agognate vacanze. D’altra parte c’è meno gente in giro in città e alcuni dei tuoi amici sono già in vacanza.
O le vacanze sono già arrivate, e stai pensando a come utilizzare in maniera intelligente il tempo libero.
Il bello di questo periodo è che il tempo si dilata, inizi a rilassarti e i ritmi rallentano, quindi perché non approfittare per prenderti degli spazi?
Eccoti 10 dritte di cose da fare questa estate, in città o in vacanza:

  • In città: partecipa agli ultimi eventi/aperitivi di chiusura delle attività e fai networking. Prima della pausa di agosto ci sono una miriade di eventi di saluti, chiusura attività, e affini, ai quale partecipare. Sono tutte occasioni ottime per conoscere nuove persone, per lavoro e non, in un’atmosfera più rilassata e frizzante. Per me il networking andrebbe proprio sposato come una filosofia di vita professionale, come già ribadito in questo post e qui.
  • Rallenta i ritmi e incontra gli amici. Spesso durante l’anno siamo di corsa tra un impegno e l’altro, non troviamo il tempo di incontrare gli amici e di dedicargli tutta l’attenzione che si meritano.
  • Fai qualcosa di nuovo. Prova un nuovo sport, un ristorante o un locale dove non sei mai andato.
  • Fai il punto della situazione sui tuoi obiettivi. Ormai metà anno è già passato, sei in grado di verificare a che punto sei con gli obiettivi di inizio anno, capire se sono ancora adeguati, o mettertene di nuovi, per ripartire alla grande a settembre. Leggiti questo mio post.
  • Ascoltati. Prenditi il tuo spazio, ascolta il tuo corpo, le tue sensazioni e le tue emozioni. Riconnettiti con te stesso. Non c’è bisogno che vai in Nepal a meditare (o forse si), basta solo ricavarsi uno po’ di tempo in relax e in silenzio.
  • Coccola di più il tuo corpo. Approfitta dell’estate per farti qualche massaggio o qualche trattamento che non riesci a fare durante l’anno perché sei sempre di corsa! Anche solo andare all’angolo relax della tua palestra! Comunque cerca di fare più sport o muoverti di più all’aria aperta
  • Leggi “Mollo tutto: e faccio solo quello che mi pare” di John Williams. Io l’ho letto la prima volta proprio in vacanza, e lì ho iniziato a chiedermi (e anche a rispondermi) davvero quali fossero i miei talenti e quale poteva essere il lavoro più adatto a me
  • Apriti alla tua creatività. Il relax ci aiuta e stimola ad avere nuove idee, prova a riprendere in mano la scrittura, il disegno, la parte di te creativa che di solito non ascolti nel tran tran quotidiano. E non dimenticare di portare con te carta e penna per annotarti le tue nuove idee!
  • Improvvisa! Lo so, la tua agenda è sempre organizzatissima e densa. Ecco, dimenticatela e non fissarti gli impegni, improvvisa la serata facendo proprio quello che ti passa nella testa in quel momento. O almeno prova! Io per esempio adoro uscire e camminare senza meta, decidendo poi cosa fare e coinvolgendo last minute qualcuno.
  • Leggi “Parti in fretta e non tornare” di Fred Vargas. È uno dei miei libri preferiti, lei è una scrittrice noir francese, medievalista. Certo il titolo potrebbe non piacere se regalato. Infatti il mio fidanzato di allora non gradì quando glielo regalai, ma non era un suggerimento in quel caso!

L’articolo (leggermente riadattato) era stato scritto per il Blog di Accademia della Felicità

PERCHÉ NON STAI FACENDO CARRIERA

Può capitare anche se ti dai moltissimo da fare a lavoro, che ti venga preferito qualcun altro perché devi ancora sviluppare alcune competenze di intelligenza emotiva e leadership: La storia di Marco

Nonostante gli sforzi e le tue capacità tecniche non sei stato scelto per quel nuovo ruolo interno per cui ti eri proposto. Avrebbe dato una svolta alla tua carriera e lo stavi aspettando da tempo.
Ti è successo?
A Marco, nome fittizio, 38 anni e un ruolo nell’ambito finanza e controllo di una grande azienda, è capitato proprio questo. Ti racconto la sua storia, mettendo in luce le competenze sulle quali dovrebbe lavorare per raggiungere il suo obiettivo.

Ovviamente spesso ci sono altre dinamiche relazionali e di strategia aziendale che qui non prendiamo in considerazione, ma che possono avere il loro peso in queste decisioni.

La storia di Marco

Marco mi racconta dei problemi legati al suo lavoro, lavora tanto, spesso fino a tardi, ma non è soddisfatto e vorrebbe cambiare azienda, soprattutto dopo che non ha ottenuto il posto interno per cui aveva fatto domanda.
Il suo lavoro gli piace, ha un ruolo di responsabilità, in una grande azienda, in cui si è spostato sperando nella carriera internazionale.
Inoltre, nell’ultimo colloquio di valutazione il suo capo gli dice che quest’anno “ha fatto il suo”, quindi non si sente riconosciuto per il lavoro che invece ha svolto con dedizione per la sua azienda.

Marco ha indubbie capacità analitiche-tecniche e organizzative, ha delle precedenti esperienze in altre aziende, sempre in ruoli di responsabilità.
Quindi la mancata carriera deriva da qualcosa di diverso dalle sue competenze tecniche o dall’Intelligenza analitica.

Ma da dove deriva lo sfasamento tra come si percepisce lui e da come viene percepito dall’azienda?
Dal dialogo e dalle mie domande emergono delle criticità

Rapporti poco efficaci con il suo capo

Marco risponde da organigramma ad un responsabile (che gli fa anche la valutazione annuale), e funzionalmente ad un’altra persona:

  • Marco coinvolge poco il suo responsabile diretto nella sua attività, non lo allinea spesso sull’andamento dei progetti, non lo mette in copia nelle comunicazioni, in sostanza si comporta come se non ci fosse, anche se la valutazione spetta proprio a lui. La mancata promozione ovviamente non aiuta il dialogo e il rapporto tra di loro, anzi lo ha esacerbato.
  • Con il responsabile funzionale va più d’accordo e lo coinvolge di più nel suo lavoro, cura di più questo rapporto
Non contribuisce positivamente al clima dell’ufficio

Partecipa poco alla vita relazionale dell’ufficio, lavora tanto e tiene del tutto separata la vita privata da quella lavorativa e comunica poco con i colleghi, crea poco coinvolgimento e subisce molto lo stress.

Gestione poco efficace delle risorse junior o a riporto

Gli è stata assegnata una risorsa junior che non apprezza, e segue poco.
È anche irritato dal suo comportamento in ufficio perché parla anche della sua vita personale. Non è soddisfatto del lavoro che svolge e invece di mostrarle i punti di miglioramento dei compiti svolti e farglieli rifare, preferisce fare da sé il lavoro.
Ha chiesto che venisse sostituita piuttosto che applicarsi per farle della formazione e farle imparare il lavoro, ma ovviamente questo non è possibile per ora.

Come può agire Marco?

Probabilmente questi punti critici hanno influito sulla possibilità di Marco di accedere al percorso di carriera che desiderava. Banalmente il non tenere allineato il responsabile diretto sul suo lavoro gli toglie visibilità sulle attività svolte.

Le competenze manageriali critiche di Marco possono comunque migliorare e diventare efficaci per un ruolo da leader come lui desidera.
Lavorare sulle sue capacità emotive e relazionali, quali l’empatia, il gestire meglio le emozioni e lo stress lo possono aiutare a instaurare rapporti di dialogo e di ascolto sia con il suo responsabile diretto che con i suoi riporti, al fine di svolgere in maniera più efficiente il suo lavoro.
Sicuramente lavorare ora sull’attuale posto di lavoro lo aiuterà, anche se dovesse decidere di cambiare azienda, a sviluppare maggiori capacità di leadership che potrebbero aiutarlo a ricoprire la posizione che lui desidera.

Ti riconosci nell’esperienza di Marco o ne hai una simile?
Raccontamela scrivendomi all’indirizzo cmelis@coachingpower.it