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Emozioni: perché sono importanti per il benessere e la performance

Allenare le competenze dell’Intelligenza Emotiva, come comprendere e gestire le emozioni, sapersi relazionare in modo empatico, avere chiaro il proprio senso di scopo, è fondamentale in questo contesto economico e sociale, e sarà sempre più importante nel futuro.

Sviluppare queste capacità, ci consente di raggiungere un equilibrio di vita più sostenibile, quindi di maggior benessere, e di essere più efficaci nella nostra vita professionale

Comprendere e gestire le proprie emozioni, non è stato mai così importante come ora.

Ormai da anni viviamo in un ambiente economico e sociale definito “VUCA” (Volatile, Incerto, Complesso e Ambiguo), caratterizzato da cambiamenti sempre più frequenti e repentini, spesso non facilmente prevedibili.

Recentemente, la pandemia ha reso poco attuale il VUCA ed è stato coniato un nuovo acronimo per definire il nuovo contesto: il BANI, che sta per fragile (Brittle), ansioso (Anxious), non-lineare (Nonlinear), incomprensibile (Incomprehensibile)

La competitività, il progresso tecnologico e la robotizzazione, la continua ricerca all’innovazione, richiedono non solo un apprendimento continuo di nuove competenze per eseguire il proprio lavoro (upskilling), ma anche lo sviluppo di capacità per un eventuale compito diverso (reskilling).

La pandemia prima, seguita dal conflitto in Ucraina e la situazione economica – finanziaria, hanno ulteriormente accentuato questa condizione, velocizzando molti processi già in atto; siamo nel bel mezzo di un forte fenomeno trasformazionale che mette sotto stress sistemi e paradigmi, alterando equilibri che credevamo stabili.

Inoltre, l’impatto di questi avvenimenti sta influendo negativamente sulla crescita economica oltre ad ostacolare i progressi verso l’inclusione sociale e il benessere mentale

Si parla sempre più spesso di burnout e le aziende stanno dando sempre più attenzione a questo aspetto.

Che emozioni suscita nelle persone questo contesto?

La volatilità causa pauraavversione per il rischio e ci porta a sentirci reattivi, sul paradigma della sopravvivenza.

L’incertezza e l’ambiguità favoriscono dubbisfiducia ed esitazione, perché investiamo troppo tempo nell’analizzare i dati (che cambiano rapidamente), impedendo una presa di decisione efficace.

L’ultimo Rapporto Censis «La società italiana al 2022», parla di “nuova età dei rischi”, dove l’immaginario collettivo si è abituato all’idea che tutto può accadere, anche l’indicibile. Dal rapporto emerge che:

  • il 66,5% degli italiani (oltre 10% in più rispetto al 2019 pre-Covid), dopo gli eventi che hanno stravolto il quotidiano, si sente insicuro pensando al futuro proprio e della propria famiglia: due italiani su tre sono pervasi dall’insicurezza 
  • l’89,7% degli italiani dichiara che, pensando alla stringente successione di pandemia, guerra, crisi energetica e ambientale, prova una tristezza di fondo, e il 54,1% (che raggiunge il valore massimo, 59,5%, nella fascia 18-34 anni) avverte la forte tentazione di restare passivo, senza prendere iniziative, blindandosi nel privato.

L’impatto nella vita professionale e sulle organizzazioni

Le persone e le organizzazioni si trovano ad affrontare situazioni sempre più sfidanti per rimanere competitive (o semplicemente sopravvivere) e adattarsi velocemente al cambiamento.

Le persone si sentono stressate per il carico eccessivo di lavoro o per un’organizzazione poco efficace delle attività, che spesso rincorre le scadenze, e questo porta a basse performance e a sentirsi sopraffatti.

Alcune statistiche che emergono dall’ultimo rapporto Gallup “State of the Global Workplace 2022” per i lavoratori italiani:

  • il 27% dichiara di percepire molta tristezza durante la giornata, il 49% si dice molto stressato, il 45% si sente preoccupato e il 16% sperimenta rabbia
  • solo il 4% si sente realmente coinvolto nel suo lavoro 

Le aziende devono gestire fenomeni come le grandi dimissioni, il quiet quitting, attrarre e trattenere i talenti, in particolare i giovani della generazione Z.

I leader, in particolare si trovano di fronte a molte sfide come:

  • Guidare il team a distanza o in modalità ibrida
  • Affrontare un contesto stressante e allo stesso tempo creare un clima dove le persone possono lavorare nel migliore dei modi possibili
  • Prestare più attenzione alle tematiche di Diversity & Inclusion: essere più inclusivo gestendo la diversità generazionale, culturale, di genere
  • Allenare le persone al cambiamento e facilitare il loro sviluppo
  • Saper coinvolgere le persone negli obiettivi comuni

Quali competenze allenare in azienda e soprattutto per chi ricopre un ruolo di leader?

In questo contesto sfidante, di continuo mutamento e incertezza, si rivela importante “diventare bravi con le emozioni” e allenarsi nelle competenze dell’Intelligenza Emotiva.

L’importanza dell’Intelligenza Emotiva è confermata anche dal World Economic Forum (The Future of Jobs, 2020), che la inserisce nella classifica delle 15 competenze più importanti che saranno richieste nel mondo del lavoro nel 2025.

Cos’è l’Intelligenza Emotiva?

È la capacità di saper riconoscere e gestire le proprie e altrui emozioni; sapersi relazionare tramite l’empatia, comprendere e fissare obiettivi legati ai nostri valori e il nostro senso di scopo.

È saper integrare la nostra parte razionale alla parte emozionale per avere più consapevolezza di sé stessi, essere più efficaci e produttivi.

Infatti, le ricerche confermano che, a parità di competenze tecniche, chi ha un’alta Intelligenza Emotiva ha il 55% circa della possibilità in più di avere successo, di avere un’alta performance e un equilibrio psico-fisico migliore.

Inoltre, più è alta l’Intelligenza Emotiva, minore è l’impatto dello stress, della sua percezione.

Dall’ultimo report “State of the Heart” di Six Seconds emerge che “l’intelligenza emotiva è correlata alla progressione della carriera delle donne. Le donne manager hanno un punteggio di IE più alto del 2% rispetto alle donne dipendenti. Le donne dirigenti hanno un ulteriore 2% in più rispetto alle donne manager.”

La buona notizia è che l’Intelligenza Emotiva si può allenare, ed è importante soprattutto per chi è un Leader in azienda, per chi lavora in team, per chi ambisce a ricoprire livelli gerarchici più elevati. 

Perché le emozioni sono importanti?

Alcuni fatti sulle emozioni da tenere in considerazione:

  1. Tutte le persone sono in grado di provare emozioni e in ogni momento. Le emozioni sono reazioni chimiche che partono dal nostro cervello e vanno in tutto il corpo. Quello che cambia da persona a persona è il modo di vivere le emozioni, la loro intensità, e la sua interpretazione. 
  2. Le emozioni influenzano il nostro modo di pensare, sentire e agire. A seconda del nostro umore possiamo percepire diversamente ciò che ci circonda, un atteggiamento o una frase di un collega, per esempio. E, di conseguenza, le emozioni influiscono anche sul nostro modo di reagire al contesto. Questo perché pensieri ed emozioni sono fortemente intrecciati e viaggiano sugli stessi percorsi neuronali.

Infatti, le emozioni influenzano i pensieri e i pensieri hanno un impatto sulle emozioni.

  • Le emozioni sono contagiose. Per questo un leader Emotivamente intelligente riflette sull’impatto che vuole avere nell’ambiente lavorativo al fine di creare un clima favorevole dove le persone si sentono a loro agio e possono esprimere loro stesse al meglio.
  • Le emozioni contengono informazioni ed energia. Le emozioni sono un messaggio che noi mandiamo a noi stessi, che possiamo decidere se ascoltare o meno. Daniel Goleman afferma che l’88% di una presa di decisione importante è dettata dalla spinta emotiva: se non siamo consapevoli delle nostre emozioni e non ne ascoltiamo la saggezza, come possiamo prendere decisioni efficaci? 

Inoltre, sono fonte di energia: la rabbia, o la paura che sono emozioni spesso viste come negative, invece, sono molto utili perché se le usiamo ci muovono e ci danno la spinta per agire.

Questi fatti concreti e provati scientificamente, ci fanno comprendere l’importanza di integrare le “informazioni emotive” nella nostra vita e nelle sfide quotidiane, perché trascurarle vorrebbe dire escludere una parte fondamentale di noi.

In conclusione, riconoscere e gestire le proprie emozioni e relazionarsi con l’altro connettendosi con l’empatia è e sarà un plus per una performance ottimale e per un migliore equilibrio psicologico.


L’articolo è una riscrittura di quello scritto per Sesvil nel suo periodico “Sesviland 03 – 01 2022 – Emozioni in Azienda”

Riferimenti:

  • Intelligenza Emotiva: al cuore della performance – Joshua Freedman
  • Rapporto Censis “La società italiana al 2022”
  • Gallup “State of the Global Workplace 2022 Report”
  • WEF, The Future of Jobs 2020
  • Il lato positivo dello stress – Kelly Mc Gonigal
  • State of the Heart 2021, Six Seconds

Il coaching come modello di leadership

In un contesto economico e sociale sempre più complesso e variabile, dove si delineano nuovi modelli organizzativi più orizzontali e partecipativi, in che modo il coaching può essere adottato come approccio e modello di leadership?

Riporto il mio articolo scritto per gli amici di HEI – Human Experience Insights apparso per la prima volta sul loro sito.

In un momento in cui la parola “coach” è sempre più abusata, è importante fare chiarezza su cosa è il coaching professionale e in che modo può contribuire a creare nuovi approcci alla leadership organizzativa.

Mai come ora siamo stati di fronte ad un contesto economico e sociale in continua evoluzione, sempre più complesso. Cambiamenti improvvisi e impattanti fanno sì che le aziende siano chiamate ad adattarsi a nuovi scenari per sopravvivere o mantenere inalterata la produttività, agendo sui modelli organizzativi e culturali che siano anche sostenibili. Siamo di fronte a grandi sfide che, però, ci offrono grandi opportunità per apportare un cambiamento effettivo verso una visione umano-centrica delle organizzazioni che finalmente sia agita e non solo teorizzata.

Si parla di VUCA world (Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous) proprio per definire un ambiente complesso in cui i cambiamenti si susseguono in modo sempre più repentino e imprevedibile, rendendo più difficile e faticoso il continuo adattarsi agli eventi, alle situazioni, ai processi.

Ormai è necessario non solo essere in grado di stare dietro ai cambiamenti, ma, inoltre, cercare di anticiparli.

È emblematica, in tal senso, l’affermazione di Kalus Schwab, Fondatore e Presidente del World Economic Forum: “In futuro, non sarà il pesce grande a mangiare il pesce piccolo. Sarà il pesce veloce a mangiare quello più lento”.

La rivoluzione digitalee l’adozione dell’intelligenza artificiale, infatti, rendono velocemente obsoleti processi e procedure, e costringono persone e aziende a ricercare e sviluppare nuove competenze sia hard che soft.

L’avanzare della tecnologia e dell’AI, se da un lato appare minaccioso– operando una distruzione e un ricambio delle competenze richieste per la professione – dall’altra, suggerisce di puntare proprio sulle capacità relazionali-emotive, non sostituibili dalle macchine.

Nuovi modelli organizzativi

Oltre a questo, ci troviamo di fronte ad un cambiamento nelle organizzazioni, sia strutturale che generazionale.

teamsono sempre più “virtuali”, anche grazie al crescente utilizzo dello smart working, e si rende necessario ripensare il lavoro in gruppo e in sinergia, creare il coinvolgimento e soprattutto il senso di appartenenza all’azienda. Il modello verticale basato sul controllo del lavoro, infatti, inizia a mostrare i suoi segni di debolezza.

Entro il 2020, inoltre, i Millennials– che presentano caratteristiche molto diverse rispetto alle generazioni precedenti – costituiranno il 50% della forza lavoro. Secondo una ricerca di durata pluriennale condotta da Deloitte, questi ultimi apprezzano uno stile di leadership aperto, trasparente e collaborativo, ambiscono ad ottenere una qualità più alta del loro tempo libero, maggiore flessibilità e coinvolgimento, ma anche a dare più “senso” a quello che fanno.

A ciò si aggiunge il fallimento di organizzazioni di tipo verticale, altamente burocratizzate, e il delinearsi di altri modelli organizzativi più orizzontali e partecipativi, che favoriscono una leadership diffusa – in alcuni contesti si parla anche di andare verso organizzazioni leaderless.

Che tipo di leadership si potrebbe sviluppare?

Queste dinamiche così delineate suggeriscono quindi un cambio di paradigma verso un approccio di leadership più partecipativo, che abbandoni le strette verticalizzazioni gerarchiche e che passi da una logica di controllo ad una più orientata all’obiettivo, al coinvolgimento delle persone e, soprattutto, alla loro crescita personale e professionale, puntando sul potenziamento delle proprie capacità. In sostanza, un leader che cerchi di spogliarsi dei panni del “capo” per indossare quelli del coach, favorendo così un cambiamento culturale all’interno dell’azienda.

Cos’è il coaching?

Secondo la definizione dell’International Coach Federation (ICF)

il coaching è una partnership con i clienti che attraverso un processo creativo stimola la riflessione ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale

L’accento è sulla partnership, quindi sulla creazione di una relazione win-win, dove il risultato desiderato è proprio il processo di sviluppo e potenziamento delle persone, non il raggiungimento dell’obiettivo come fine a sé stesso. La parola “obiettivo” non è contenuta nella definizione, in quanto il risultato non è strettamente il fine ultimo del coaching ma il mezzo per favorire l’accelerazione nel raggiungerlo, sebbene non esista un processo di coaching senza un obiettivo prefissato e misurabile.

Un approccio di leadership che integri delle competenze di coaching è quindi volto a creare uno spazio di riflessione strategico ed evolutivoin risposta alla necessità di flessibilità, che allena il saper leggere e affrontare il cambiamento, per capire dove si sta andando e allenare le competenze necessarie ad affrontare le continue evoluzioni.

Quali sono le competenze per sviluppare una leadership “più coaching”?

Di seguito una serie di competenze che possono rendere un leader “più coach”, che si richiamano alle 8 competenze chiave nel coaching secondo ICF:

  • Stabilire gli obiettivi

Come un coach, il leader accompagna i suoi collaboratori a fissare gli obiettivi e a identificare le azioni per raggiungerli, facendo emergere le soluzioni e non imponendole dall’alto, creando momenti di apprendimento per il singolo e il team. Lavorare per obiettivi consente di sfuggire alla logica di controllo, agevolare una maggiore partecipazione ai processi decisionali e coinvolgere le persone, facilitando il monitoraggio basato sui risultati raggiunti piuttosto che sulle attività svolte.

  • Ascolto attivo

L’ascolto in questo tipo di approccio è attivo, nel senso che si basa sull’apertura all’altro, è un sentire autentico e privo di giudizio; solo in questo modo si è in grado di ascoltare davvero qualcuno in maniera empatica ed efficace.

Proprio come nel coaching, il leader domanda e ascolta, favorendo la riflessione. La domanda, infatti, è lo strumento principe del coaching. Una domanda apre all’altro scenari che prima non aveva visto o considerato.

È il dialogo, fatto di domande e risposte, che aiuta l’altro a ricercare e a mettere in luce la sua soluzione o un comportamento non più efficace che non aveva ancora focalizzato. In questo senso il coaching è maieutico: fa emergere le soluzioni semplicemente accompagnando l’altro verso una migliore visuale della situazione, in maniera autonoma, per conoscere meglio sé stessi.

Il coach non dà consigli proprio per questo: non impone la sua verità. Il leader coach, in sostanza, non impone soluzioni ma le fa emergere dal contesto, favorendo l’autonomia e l’assunzione di responsabilità in un’ottica di partnership collaborativa.

  • Facilitare un clima di Fiducia

La relazione di coaching si basa sulla reciproca fiducia e capacità di creare un ambiente sicuro e di supporto che genera continuo rispetto reciproco. Il leader coach sviluppa relazioni di fiducia partendo dall’ascolto attivo e dalle domande, creando i presupposti per coinvolgere le persone negli obiettivi aziendali, creando un ambiente dove i collaboratori si sentano rispettati e in grado anche di sentirsi liberi di esprimersi in un conflitto costruttivo che apra al confronto e a soluzioni creative e innovative, senza paura di ripercussioni per essersi esposti.

Come ci insegna anche Stephen M.R. Covey, la fiducia è la prima competenza della leadership che si può apprendere e allenare, oltre ad essere un driver economico che accelera i risultati economici e di performance del team. Senza fiducia, infatti, non esiste la capacità di delega, un altro strumento importante per il leader che guida le persone attraverso il raggiungimento degli obiettivi.

  • Dare feedback costruttivi

Il coach utilizza anche la comunicazione diretta e specialmente lo strumento del feedback come momento di crescita e sviluppo dell’altro e della relazione. In un’ottica coaching, il feedback non è un giudizio o un parere, ma si basa su fatti e comportamenti effettivamente agiti e osservati, e soprattutto è un regalo che viene fatto all’altro per il suo apprendimento. In questo senso si può creare una cultura del feedback per un impatto positivo sulle persone, non riducendo i momenti di confronto alle occasioni istituzionali come la restituzione della performance, ma creando degli spazi di incontro e scambio al fine di una reciproca crescita, collaborazione e fiducia.

Il coaching come approccio sistemico

In sintesi, lo stimolo che vorrei portare è di considerare un approccio coaching alla leadership pensandolo come sistemico, dove al centro sia riposta la crescita delle persone come veicolo dello sviluppo dell’organizzazione stessa. Questo vuol dire che affinché le aziende cambino l’approccio culturale e organizzativo bisogna andare ben oltre la formazione di pochi singoli leader.

Come sostenuto da Richard Buckminster Fuller, “non si cambiano mai le cose combattendo contro la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, bisogna costruire un modello nuovo che renda obsoleto quello vecchio”.

Per approfondire leggi le mie pagine dedicate al coaching

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Sei il regista o uno spettatore del film della tua vita?

Ti senti bloccato in una situazione in cui non sai cosa fare, oppure lo sai benissimo, ma non lo fai? Stai facendo lo spettatore del film della tua vita!

Una delle mie passioni è il cinema. Adoro perdermi nella trama, ammirare la fotografia, apprezzare la capacità performativa dell’attore.

Il tutto seduta in poltrona, dove al massimo mangi i pop corn (la mia amica Rosita me lo impedirebbe), commenti, ti commuovi, ridi. Se una scena non ti piace, non apprezzi la fotografia, e neanche il finale, non puoi dire “stop! Ripetiamo tutto” come potrebbe fare invece il regista, che crea e plasma la narrazione con la sua creatività.

Ora immagina che il film proiettato sia la tua vita e tu lo spettatore che la guardi scorrere.

Ti è mai successo di essere bloccato in una situazione in cui non sai cosa fare, oppure lo sai benissimo, ma non lo fai?

Ecco, equivale ad stare seduto in poltrona ad assistere al film della tua vita, e non riesci a decidere la trama, quale scena ripetere (o magari era buona la prima), quali inquadrature favorire.

E intanto scorre davanti a te.

Essere regista della tua vita vuol dire prendere in mano le decisioni, fare delle azioni concrete, per arrivare al gran finale che desideri.

Vuol dire prenderti la responsabilità di guidare le tue scelte.

La responsabilità personale, un valore in cui mi sento impegnata, sulla quale il coaching va sicuramente ad agire.

La responsabilità come valore

Sono rimasta colpita, anni fa, dai risultati dell’indagine sui “Valori della Nazione” realizzata da VocAzione nel 2013 in Italia, in cui la responsabilità personale appare nella classifica tristemente al 48esimo posto (in Svizzera risulta al primo posto, in Svezia al quarto e negli Stati Uniti al sesto).

Questo fa intuire la tendenza, ancora adesso valida probabilmente, degli italiani a sentirsi poco protagonisti della vita politica, economica e sociale del nostro paese, dove le persone sentono di poter avere scarsa influenza su quello che gli accade, poco responsabili della propria vita.

E cosa c’entra con il coaching?

Quante volte ho sentito da parte dei miei clienti le frasi:

  • È colpa mia/sua/loro!
  • Non posso farci niente, non dipende da me.

L’utilizzo del termine “colpa” spesso sottende un senso di disagio, impotenza, un significato emotivamente non piacevole.

Allenarsi con il coaching ad aprire spazi di riflessione più ampi, ad elaborare strategie e piani d’azione, quindi a compiere gesti concreti verso l’obiettivo, aiuta a passare dal concetto di colpa a quello di responsabilità.

Porta a chiedersi “cosa posso fare io?”.

Vuol dire passare dal sentirsi vittima delle circostanze, di una situazione, ad una presa di coscienza della propria capacità d’azione e auto determinazione.

È più facile pensare di non poter cambiare la situazione in cui siamo, e rivolgersi all’esterno (spesso inconsciamente) per trovare i colpevoli dei nostri insuccessi o semplicemente i responsabili di quello che ci sta succedendo.

In genere, se sentiamo di avere poco senso del controllo su qualcosa, siamo anche più portati a non assumercene la responsabilità.

In che modo il coaching stimola la responsabilità personale?

Sono diversi i modi in cui il coaching si rivela uno strumento utile per sviluppare la responsabilità personale.

Il coaching, innanzi tutto, attraverso la definizione di obiettivi reali, e quindi stimola il senso del controllo.

La persona, grazie alle domande del coach, focalizza l’obiettivo desiderato, visualizza la situazione una volta raggiunto l’obiettivo, prevede i tempi, misura il suo impegno e riconosce il valore che egli stesso attribuisce alla sua meta.

Decidendo di dedicare tempo ed impegno alla realizzazione del suo progetto se ne assume quindi la responsabilità.

Lo sviluppo e l’attuazione del piano d’azione portano ad esperienze di successo ed elevano il senso del controllo nelle persone, costruendo una maggiore fiducia nella propria autoefficacia.

Nell’Intelligenza Emotiva la competenza “esercitare l’ottimismo” sta proprio ad indicare l’abilità di sentirsi o meno, capaci di trovare una soluzione ed agirla, ritenersi registi della propria vita insomma. Lavorare su questa competenza è fondamentale per raggiungere gli obiettivi.

Ma chi? Io?

L’ho vissuto anche io il passaggio dal “è colpa di” al rimboccarmi le maniche e assumermi le mie responsabilità, quando ho incontrato casualmente il coaching, ovviamente!

In una delle prime sessioni di coaching (come coachee), dopo una lunga esplorazione di quella che era la situazione che io volevo migliorare arrivò la classica e doverosa (e, in quel momento, per me potentissima) domanda da coach “cosa puoi fare tu per risolvere questo problema?”.

Non ricordo esattamente cosa risposi, forse niente, ma ricordo perfettamente di aver pensato “Ma chi, io? Io non posso farci niente, non dipende da me!”. Non è colpa mia!

Ero abituata a pensare di non poter avere impatto nella mia vita, o di averne solo in minima parte, spesso proiettavo all’esterno le responsabilità e quella domanda, che sottintendeva la possibilità di agire in prima persona per cambiare la situazione, ebbe il potere di illuminarmi e spingermi all’azione.

E quindi avevo agito, cambiando la situazione. In meglio, ovviamente!

Da quando ho raggiunto questa consapevolezza ho imparato un nuovo modo di rapportarmi alla mia vita. Riesco a focalizzarmi sulle soluzioni più che sul problema per cercare di risolverlo e mi sento più regista della mia vita.

E tu? Il tuo piano d’azione

Mi rendo conto che non è facile cambiare il proprio modo di pensare, il paradigma, ma il cambiamento può iniziare anche da un solo piccolo passo.

  • Pensa ad una situazione che senti “ingessata”, prova a scrivere come vorresti che fosse invece la situazione, come se si fosse realizzata (al presente, indicativo e in positivo).
  • Scrivi qualche azione che potrebbe portare più vicino a quella situazione desiderata.
  • Individua una piccolissima azione tra queste che potrebbe “rompere il ghiaccio” e decidi di farla entro pochi giorni, dandoti una scadenza.

Hai appena scritto un obiettivo e un piano d’azione!

Provaci e fammi sapere come va, se vuoi! Scrivimi una mail: cmelis@coachingpower.it

Sei sicuro di volere la promozione?

Fare carriera e diventare “capo” è un’ambizione di molti, ma è anche un grosso cambiamento. Tu sei pronto?

Finalmente dopo anni sembra essere il tuo turno! Hai ottenuto una promozione e guiderai un team di persone.

Fare carriera e ricoprire incarichi di responsabilità è l’obiettivo di molti. Non solo per il compenso economico, ma anche per il riconoscimento che questo comporta, da parte dell’azienda e dei propri responsabili. È poi una prova tangibile che si sta lavorando bene e che i nostri sforzi sono stati ripagati.

Ma è tutto oro quello che luccica? Sei veramente preparato a fare il salto di qualità?

Ho già parlato in un mio precedente post di Marco che non era stato promosso perché non aveva i requisiti “giusti”, qui affronto le sfide che devi affrontare quando aumenta il tuo ruolo di responsabilità.

Non è tutto oro quel che luccica

Spesso fare carriera internamente, cioè crescere nella stessa azienda, è un gran cambiamento, e come tale, se non gestito, e affrontato con i giusti strumenti e preparazione, può mettere in difficoltà.

Sicuramente te lo sei meritato, hai lavorato tanto, ti mantieni costantemente aggiornato, non ti sei mai tirato indietro di fronte a carichi di lavoro impegnativi e lavori bene con i tuoi colleghi.

A cambiare non sarà solo il tuo “job title” su LinkedIn e il tuo posto nell’organigramma aziendale, ma la sfida è sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista della tua forma mentis del lavoro.

Infatti, quando ti trovi a gestire un team, per quanto tu possa essere preparato nelle competenze tecniche, devi sviluppare (o accrescere) delle competenze e degli strumenti.

Quali sono le sfide?

Prima colleghi ora collaboratori

Una prima difficoltà a cui ti puoi trovare davanti è che quelli che prima erano i tuoi colleghi diventano i tuoi collaboratori. Se già gestivi un team di persone e ora sei responsabile dell’intera area, ora diventerai il capo dei tuoi ex parigrado.

Anche se hai dei rapporti splendidi dal punto di vista personale e lavorativo, il modo di relazionarsi deve cambiare per forza di cose.

Se magari le risorse più junior potrebbero non risentire del cambiamento nel team, i colleghi con la seniority simile alla tua, in alcuni casi maggiore, possono accusare il colpo.

E non riconoscerti come capo, il che ti farà tribolare un bel po’.

Pensa a quelle situazioni in cui il capo arrivava con la richiesta di produrre quei dati “per ieri” perché c’era un’urgenza e tu e i tuoi colleghi vi guardavate tra di voi alzando gli occhi al cielo. Ecco, ora il capo sei tu! E spesso dovrai fare delle richieste del genere perché arrivano dall’alto e non puoi dire di no.

In questo caso, sicuramente ci vorrà del tempo per accettare la nuova situazione, ma devi essere bravo tu a gestire il nuovo contesto con un po’ di pazienza, adottando un comportamento più consono al nuovo ruolo e trovare il nuovo equilibrio.

Certo se sei sempre andato con loro a prendere il caffè o in palestra, ora dovresti comunque rimodulare opportunità e modo di rapportarti fuori e dentro l’ufficio con nel tuo nuovo incarico.

Cambiare prospettiva, diventare meno operativo e delegare

L’azienda ora si aspetta da te non più di smazzare numeri e produrre decine di report, ma molto di più: che tu sappia gestire il tuo lavoro e quello delle altre persone.

Dipende dal ruolo, ma sicuramente il tipo di lavoro che andrai a svolgere sarà più volto al coordinamento del lavoro e delle risorse.

E ovviamente devi essere meno operativo, che ovviamente non vuol dire che devi smettere di lavorare, ma alcune cose che facevi prima le devi delegare per poi verificarle una volta fatte.

Non puoi fare il lavoro che svolgono già i tuoi colleghi e sovrapporti.

Dovrai avere uno sguardo “più alto” sull’attività, sviluppare la visione d’insieme e coordinare invece che macinare i dati.

Devi sviluppare delle capacità trasversali

Già perché appunto puoi essere bravissimo sulle capacità tecniche, ma ora devi sviluppare capacità relazionali e di leadership.

Questo attiene maggiormente alla sfera dell’Intelligenza Emotiva, alle famose soft skills che ormai sono necessarie per chiunque, figurarsi per chi ricopre ruoli di responsabilità.

Intendo la capacità di ascoltare attivamente, coinvolgere, gestire le emozioni e lo stress, tanto per citarne qualcuna.

Dovrai sviluppare nuovi strumenti

Devi anche dotarti di strumenti quali:

  • Dare un feedback. Avevo già affrontato questo argomento in un post, non è facile dire certe cose e trovare il giusto modo per farlo, ma ora che hai delle responsabilità non puoi mancare di farlo con i tuoi collaboratori. Anche se difficile è per loro, ma anche per te, una grande occasione di crescita. Allo stesso modo dovrai imparare ad incassarli.
  • Delegare. Lo so che a volte, anzi forse spesso, faresti prima tu a fartelo da solo, ma non è questo il modo di gestire il lavoro delle persone e soprattutto farle crescere professionalmente. “Ghe pensi mi” non è un buon metodo di gestire un team: inizia a sviluppare fiducia nei confronti delle tue risorse. Controllerai dopo il lavoro e darai un feedback (vedi sopra) di miglioramento nel caso abbiano sbagliato qualcosa. E sì, la responsabilità è tua!
  • Saper monitorare. Anche il controllare il lavoro va saputo fare, perché se ogni 5 minuti chiedi “Cosa stai facendo” e “A che punto sei” non stai aiutando il tuo collaboratore a lavorare bene, ma stai facendo pressione che si può ripercuotere negativamente sul lavoro.
  • Gestire il tempo e l’agenda. Monitorare i progetti e il tempo non solo tuo, ma anche dei tuoi, saper fissare dei punti di verifica, creare momenti condivisi o meno. Sull’agenda leggi qui.
  • Saperti dare degli obiettivi SMART. Il che vuol dire, come saprai dall’ampia letteratura, che devono essere misurabili, temporalizzati, realistici ecc e che devi saper coinvolgere anche i tuoi collaboratori nell’aiutarti a raggiungerli.

In effetti sono tante le sfide, e sono sicura che saprai affrontarle con determinazione e strategia!

 

Se stai per fare questo tipo di cambiamento, guarda qui il mio percorso.

Se sei a Milano ad Aprile tengo due workshop su “Fare Networking

Come gestire l’agenda e vivere felici

Vuoi avere successo nel tuo lavoro? Saper gestire efficacemente i tuoi impegni è fondamentale

Il tempo è la nostra vita, non è solo denaro, per parafrasare il famoso detto. Come scegli di impegnarlo è quindi fondamentale.

La vita professionale non prescinde da questo, anzi la gestione efficace della nostra agenda è alla base dell’equilibrio lavoro/vita personale, che perseguiamo in tanti.

Con gestire l’agenda intendo tutta la sfera della pratica dell’incastro dei vari impegni e del nostro planning di breve, medio e lungo periodo.

È importante soprattutto per un libero professionista, un imprenditore, ma anche per chi lavora come dipendente o manager.

“Il modo in cui impieghiamo le giornate è, naturalmente, il modo in cui trascorriamo la vita.”

ANNIE DILLARD

Siamo sempre così bravi a dare la giusta importanza a tutti gli impegni, le attività che svolgiamo al lavoro e anche al tempo libero? E soprattutto a rispettarli senza troppi stress?

Perché è importante gestire bene l’agenda?

Se hai un’agenda a prova di bomba (imprevisti a parte ovviamente) eviti di sprecare tempo e sei più efficace nel tuo lavoro, anche dal punto di vista emozionale e dello stress, come ti avevo già raccontato nel mio post che parlava di “ansia da lavoro”.

La perfezione non esiste, ma possiamo sempre migliorare.

Primo: dare le priorità

Quando metti in agenda un impegno sacrificandone un altro, stai facendo una scelta di importanza o di urgenza.

O meglio: dovrebbero essere queste le variabili che ti guidano.

  • Importante e urgente: da mettere in agenda al più presto possibile
  • Importante e non urgente: stabilire (comunque subito) una data comoda nelle prossime settimane
  • Non importante ma urgente: secondo la matrice di Eisenhower la dovresti delegare. Quindi pensaci prima di metterla in agenda
  • Non importante e non urgente: sei sicuro che vuoi occupare il tuo spazio per questo?

Se cancelli un impegno per un altro, il discorso è lo stesso, ma ricordati che quando stai facendo il pacco dall’altra parte c’è una persona che ti aveva allocato il tempo e fermato la sua agenda, rinunciando magari a sua volta ad un altro impegno, magari con un cliente.

Non fare all’agenda degli altri quello che non vorresti fosse fatto alla tua.

Apri l’agenda!

Uno dei motivi per cui si ha un’agenda incasinata, si dimenticano gli impegni, sovrapponendoli uno all’altro è proprio che non ti segni tutti gli impegni subito e non lo fai nello stesso posto!

Quindi:

  • Segna subito gli impegni appena sai la data di un evento o definisci un appuntamento
  • Non rimandare dicendo “no dai sentiamoci poi ora sono troppo incasinato” e lo sarai sempre! Vedi sopra lo schema di urgenza e importanza. Lo stesso se sono gli altri a dirtelo. Non procrastinare, poi ti incasini di più!
  • Chi arriva prima lo fa” quando si lavora in team, non è un buon modo di gestire l’agenda, va a finire che in due state facendo la stessa cosa. Segnarsi chi fa cosa e quando è più efficace per l’agenda del team. Urgenze a parte, ovviamente.

Strumenti

La Moleskine è bella, ma non sempre funzionale.

Io sono per il supporto tecnologico.

Cosa uso io?

  • Uso le app “Calendario” di IOS ma principalmente “PocketLife”che è perfettamente integrato con diversi calendari, tra cui Google Calendar che puoi guardare anche da PC e condividere i calendari dei tuoi colleghi. E posso segnare i vari impegni con i diversi colori!
  • Per il resto (i dipendenti) c’è Outlook: è sempre una garanzia.

Prendere l’appuntamento

“Puoi giovedì alle 15:07 oppure venerdì alle 9:35?”

“No, potrei venerdì alle 13:20”

”Non posso io. Settimana prossima?”

Alzi la mano chi non ha avuto uno scambio di messaggi o di mail del genere per prendere un appuntamento perdendo tempo e fatica.

Da quando ho scoperto Calendly non posso più farne senza!

Si sincronizza con la tua agenda (Google, Outlook, iOS, ecc) e mandando il link la persona può vedere quando sei libero e prendersi l’appuntamento. E si segna automaticamente sulla tua agenda senza che tu faccia nulla!

Per il resto c’è sempre Outlook che quando stai organizzando una riunione o mandando un’invitation ti fa vedere il calendario dei tuoi colleghi e collaboratori senza mandare 10 mail.

Come organizzare gli impegni

Alcuni suggerimenti:

  • Quando hai un impegno con altre persone manda l’invito in modo che appaia nel suo calendario o che riceva una mail con l’evento che dovrà accettare e per cui gli arriverà anche l’alert.
  • Ricordati di considerare gli spostamenti e gli inconvenienti aggiungendo dei margini di sicurezza tra un impegno e l’altro.
  • Segnati gli impegni ricorrenti. Ci sono impegni che si ripetono periodicamente: usa nel calendario l’opzione “ripeti” in modo che automaticamente sia presente in tutte le occorrenze. Io per esempio so che tutte le settimane il mercoledì alle 7:30 ho la colazione di lavoro BNI. Ai tempi di Eurizon Capital tra colleghi c’era l’evento “mandare le quote a X” tutti i giovedì alle 13:00.
  • Metti gli alert! A meno che non guardi l’agenda continuamente ti conviene mettere gli avvisi (una suoneria o una mail) in modo da organizzarti o muoverti per tempo.
  • Segnati a calendario il tempo per i tuoi lavori. Quando stai seguendo un progetto e sai che gli dedichi 2 ore ogni volta il pomeriggio, che dalle 9:00 alle 10:00 sbrighi le mail, e alle 10:30 fai girare una specifica procedura. Così difendi il tuo spazio dai colleghi e clienti che ti vedono occupato sull’agenda. Io lo faccio per scrivere, per studiare.
  • Prendi un appuntamento anche per le telefonate. A meno che non sia un tuo amico o un familiare la telefonata va pianificata.
  • Segnati anche gli impegni della tua vita personale. Che sia lo sport, un aperitivo con gli amici

Difendere la propria agenda

Anche se la tua agenda è impeccabile, oltre ai possibili “pacchi” last minute, è importante anche saperla difendere dagli attacchi di quegli esseri che definiamo “disturbatori”.

Arrivano di persona o tramite whatsapp, mail e telefonate a cercare di distrarti e a invadere il tuo tempo, magari è il collega che vuole raccontarti dell’ultimo gossip aziendale o per parlarti di un nuovo lavoro, proprio in quel momento in cui stavi quagliando.

  • Mettiti in modalità “non disturbare” sui tuoi device e chiudi la posta. La mia collega Paola si metteva “impegnato” sulla chat aziendale: funzionava, non la disturbavi!
  • Se proprio fionda qualcuno di persona o ti chiama all’improvviso, ricontratta il tempo e chiedendo di mandarti una mail o di parlarne più tardi davanti ad un caffè.

Tu come organizzi i tuoi impegni? Che modalità adotti?

Vuoi migliorare il tuo modo di gestire l’agenda?

Prenditi un appuntamento con Calendly e ne parliamo!

https://calendly.com/cristianamelis/30min

 

Networking di successo? Prima regola: crea fiducia

Se vuoi essere un networker di successo devi costruire dei rapporti basati sulla fiducia.

Uno dei capisaldi che mi guida nella mia vita professionale, e privata ovviamente, è il valore della relazione ed è per questo che ritengo il networking fondamentale.

Il networking, ne sono convinta, è una scienza esatta: se segui alcune regole e ti poni con apertura e sincerità hai un grande ritorno e crei valore.

Affinché tu diventi un bravo networker una delle cose da cui non puoi prescindere è la costruzione di rapporti basati sulla fiducia reciproca.

La scoperta dell’acqua calda, insomma. Alla base della fiducia c’è il rispetto e la conoscenza della persona, ma ci sono delle regole da seguire o comunque delle attenzioni che se disattese possono comunque portare a ledere il rapporto.

Un esempio

Premesso che nessuno è perfetto, neanche io, ti faccio un esempio di “vita vissuta”.

Ovviamente capita a tutti di ricevere decine, centinaia di mail al giorno, rispondere a tutti spesso diventa un’ardua impresa, ma un piccolo sforzo è necessario.

Invito, mandando i dettagli via mail dopo aver invitato a voce, delle persone che conosco bene e con i quali ho una relazione ad un evento per una presentazione di un’opportunità di business. C’era anche l’aperitivo offerto, quindi la possibilità di fare networking con lo Spritz in mano, con tutti i vantaggi che ti ho elencato nel mio post.

Ecco dei comportamenti che ritengo essere lesivi del rapporto di fiducia o comunque non incoraggianti per future collaborazioni (leggi: non ti invito più e probabilmente neanche ad altre iniziative):

  • Non rispondere alla mail di invito e sparire in stile Houdini
  • Rispondere un’ora prima dell’evento (se va bene) dicendo che non vieni o che vedi più tardi se ne avrai voglia
  • Dopo che hai dato conferma, disdici la tua presenza all’ultimo momento adducendo motivi lavorativi (invece l’evento al quale ti avevo invitato cos’era?)
  • Non ti palesi anche se hai detto che saresti venuto e sparisci (Houdini 2 la vendetta)

Ovviamente la voce “imprevisti non rimandabili” non è in elenco.

Ma come si costruisce la fiducia?

Ci vuole del tempo per costruire la fiducia, per risultare credibili e due secondi per distruggere tutto.

Ovviamente citato fuori lista c’è il rispetto dell’altro, che reputo necessario e imprescindibile. Anche la gentilezza, valori che ultimamente vedo spesso disattesi, soprattutto online.

Ho individuato 7 punti:

  1. Fai quello che dici. Questo è alla base della credibilità e affidabilità di una persona: se prometti qualcosa cerca di mantenere la parola data, poi recuperare è in salita, te lo garantisco. Tornando all’esempio di prima: dici che vieni e poi fai come Houdini. Un messaggio o una mail proponendo un nuovo incontro è il minimo che si possa fare.
  2. Concedi tu fiducia per primo. Si commenta da sola, vero?
  3. Poniti con apertura, sincerità, curiosità. E ascolta! Una relazione si crea ascoltando più che parlando, non dare niente per scontato e mostra curiosità verso l’altro (che è diversa dall’invadenza). Abbiamo sempre da imparare da tutti.
  4. Dedica tempo e impegno. Si, ci vogliono tempo e dedizione per costruire relazioni, fa parte anche questo del tuo lavoro. Io per esempio, segno nella mia App agenda il tempo per il networking con il blu, e oltre a incontri ricorrenti, tipo il capitolo BNI, ho almeno 2 incontri a settimana.
  5. Dai prima di ricevere. Questa è la regola aurea del networking, e quindi del creare fiducia. Dai senza aspettare niente in cambio. Un esempio? Penso a quante volte, nella Rete al Femminile Milano o nel BB Club ci scambiamo pareri professionali tra di noi, oltre a darci supporto, senza alcun doppio fine. E PS, si facciamo anche business tra di noi!
  6. Non ti vendi al network ma attraverso il network. L’atteggiamento da piazzista a tutti i costi e di vendita spinta, anche se sei in un ambito business, non è premiante. Anzi. Prima crea la relazione e ricordati che spesso i tuoi clienti arrivano da relazioni di II o III livello.
  7. Presenza e non fare la bella statuina. Nel senso di costanza e di partecipazione: se ti palesi una volta su 10, continui a rimandare e posdatare, o se vieni e fai tappezzeria non parlando con nessuno il risultato non sarà molto apprezzabile Lo stesso si può dire anche online, come ad esempio su LinkedIn non interagisci con la tua rete, non commenti o condividi e non rispondi ai messaggi. Che ci stai a fare?

Questi quelli che sono venuti in mente a me.

Ne hai altri in mente e li vuoi condividere con me? Lascia un commento o mandami un messaggio!

IL TUO REDDITO RISPECCHIA IL TUO VALORE?

Siamo ciò che pensiamo: l’idea che abbiamo di noi, del nostro valore, le convinzioni su noi stessi influiscono sulla nostra vita, anche su quella “economica”. La storia di Alessandro

“Il nostro reddito non potrà mai superare quell’idea che abbiamo di noi”.

Questa una frase pronunciata da Robin Sharma durante il suo speech ad un evento di formazione di Performance Strategies, “La nuova Leadership”.

È un’affermazione un po’ forte e un po’ provocatoria forse. Almeno io inizialmente sono rimasta un po’ colpita.

Però pensandoci bene, anche se un po’ forte, magari a te appare banale, se unisci tutti i puntini torna tutto.

Magari ti stai dicendo “che stai a dì”, ma non mi ero mai soffermata su questa connessione diretta tra quanto possiamo essere pagati e la percezione che abbiamo di noi stessi, quindi del nostro valore.

Non sto dicendo che se sei un disoccupato o non hai un reddito non vali nulla, come non era questo l’intento della frase di Sharma. Provo a spiegarmi meglio.

Le nostre convinzioni guidano le nostre azioni

Noi siamo ciò che pensiamo. Questo vuol dire che l’idea che abbiamo di noi, del nostro valore, le convinzioni su noi stessi (a volte autolimitanti), influiscono sulla nostra vita, anche su quella “economica”.

È il tuo pensiero che crea la tua realtà” – Robin Sharma

Le nostre convinzioni diventano reali, nel senso che muovono le nostre azioni, e le nostre azioni diventano comportamenti e noi diventiamo i nostri comportamenti.

Henry Ford, nella sua famosissima citazione, diceva appunto “Che tu creda di farcela o di non farcela avrai comunque ragione”.

Perché? Se le convinzioni su te stesso che ti sei creato, ti fanno pensare che sia impossibile fare una cosa, tu non agirai mai affinché quella cosa diventi vera. Questo ovviamente è un meccanismo che lavora spesso a livello inconscio, ma che si può far emergere e cambiare.

Di conseguenza, se noi (inconsciamente o meno) pensiamo di valere poco, di non essere all’altezza, come facciamo a compiere azioni tali per guadagnare di più, per chiedere un aumento di stipendio, o per proporci ad un’azienda di un certo tipo per fare un salto nella nostra carriera?

È ancora più vero per un libero professionista, che pone da sé il proprio listino prezzi e se non si riconosce il proprio valore, quello che porta con il proprio lavoro, rischia di non sapersi far apprezzare (e pagare di conseguenza) per il valore aggiunto che porta.

Le nostre convinzioni sono legate all’idea che abbiamo di noi, e soprattutto alla fiducia che abbiamo in noi stessi.

Ho ripensato al bellissimo percorso di coaching di Alessandro, che avevo seguito nel primo anno da coach certificata.

La storia di Alessandro

Alessandro lavorava in un piccolo distaccamento della management company di una banca italiana in Lussemburgo, dopo un’esperienza in una importante Società di Gestione del Risparmio in Italia a Milano.

Aveva fatto questo cambiamento proprio per portare avanti la sua carriera che finora era andata a rilento, in un’azienda molto strutturata e poco dinamica, salvo poi trovarsi nella stessa situazione nella nuova posizione.

Era stato assunto in un ruolo di referente con la responsabilità di una funzione, gli avevano appena assegnato anche un’altra mansione.

Quando abbiamo cominciato non si riconosceva neanche il nuovo ruolo nella firma digitale della mail e non aveva richiesto, come gli era stato suggerito da un senior, di aggiornare il biglietto da visita di conseguenza.

Alessandro ha iniziato il percorso con me perché voleva gestire il cambiamento di maggiori responsabilità, migliorare il rapporto con le persone in azienda, in particolare con un senior, che pur non essendoci un riporto gerarchico o funzionale lo trattava come un sottoposto o gli chiedeva di fare dei lavori per lui.

Sentiva poi la mancanza di un mentore che lo guidasse, e non si sentiva riconosciuto anche dai colleghi a causa della sua giovane età.

Buttarsi da un trampolino sempre più alto

Abbiamo lavorato su queste tematiche andando anche ad agire sulla fiducia in sé stesso, che era ovviamente intersecata con tutto e il nodo della situazione.

Ogni volta che, con l’azione, si spingeva più in là verso l’obiettivo, cresceva anche la fiducia in se stesso, usava la metafora del “buttarsi da un trampolino sempre più alto“.

Fino a che, raggiunto il suo primo obiettivo, si è sentito pronto per affrontare il mercato esterno, verso un’altra posizione che gli permettesse di imparare cose nuove e anche di avere una retribuzione più alta.

E “saltando da un trampolino sempre più alto” alla fine ha trovato un nuovo lavoro, in una prestigiosa banca svizzera. Con uno stipendio raddoppiato e con un nuovo ruolo che andava a soddisfare il suo obiettivo professionale.

Non è una questione di fortuna. Alessandro ce l’ha fatta perché era fiducioso nelle sue capacità e ha avuto la voglia di mettersi in gioco per uscire dalla sua zona di confort e sfidare le convinzioni che lo limitavano e non gli facevano credere che avrebbe potuto ambire a qualcosa di più.

Senti anche tu che le tue convinzioni ti stanno limitando nel fare carriera o nel farti riconoscere anche economicamente il tuo valore?

Contattami, valuteremo insieme, senza impegno, se (e in che modo) posso esserti di aiuto e quale percorso è più adatto per te.

Settembre è vicino ormai, se stai pensando di porti nuovi obiettivi  o verificare a che punto sei con quelli posti ad inizio anno, questo è un buon momento.

SCRIVI:: cmelis@coachingpower.it

VISITA:: https://www.coachingpower.it/lavora-con-me/

VUOI TROVARE LAVORO? ESCI A BERE UNO SPRITZ

Se vuoi avere successo nel lavoro devi dedicare del tempo ad incontrare le persone dal vivo. Con un bicchiere in mano, spesso, viene meglio!

Hai capito bene: se vuoi trovare lavoro, cambiare azienda, o allargare il tuo business, devi uscire di più e incontrare persone che condividono con te gli stessi interessi professionali. Coltivare relazioni.

Sei appiccicato al PC e stai cercando lavoro, dannandoti per capire a chi mandare il tuo CV, a che azienda proporre i tuoi servizi, e a che santo appellarti?

Magari fai anche errori grossolani, tipo scrivere facendo un copia e incolla a tutti i contatti o sbagliando nome della persona a cui stai scrivendo (caso osservato in natura: scrivere “Gentile Dottoressa” ad un recruiter uomo).

Ti stai scervellando sul tuo business plan o sul tuo planning e non ti vengono idee su come trovare nuovi clienti?

PRIMA di arrivare a situazioni come quelle sopra, quindi ridurti a mandare solamente CV e mail “a freddo” o di fare spam ai tuoi contatti LinkedIn inizia ad uscire ed incontrare le persone anche dal vivo, per rafforzare e curare le relazioni che hai già costruito o per instaurarne di nuove.

Non ti sto incitando a cazzeggiare, ma suggerendo un modo per aprirti a nuove soluzioni, idee, e ispirazioni.

Per raggiungere il successo professionale sicuramente ci vuole un bel piano d’azione, ma un ingrediente che sta alla base della ricetta, sia che tu lavori in azienda, o sia libero professionista, un imprenditore, è costruirsi e coltivare una rete che ti sostenga e ti aiuti.

Questo si chiama networking signori miei, e secondo me, è una scienza esatta!

Incontrare le persone dal vivo

Dell’importanza di fare networking ti ho già parlato, oggi voglio sottolineare dell’importanza di incontrare le persone dal vivo, che sia per un pranzo, per un caffè o uno Spritz. Un’occasione un po’ informale per costruire o cementare una relazione.

È la fase diciamo conclusiva del networking online, fatto bene ovviamente. La fase online è sicuramente importante, come chiedere nuovi contatti su LinkedIn, individuare convegni o eventi del tuo settore per incontrare persone nuove e interessanti.

È importante anche dedicare tempo alle conoscenze che abbiamo da tempo, proprio perché le relazioni vanno coltivate con costanza.

Non aspettare di essere sotto scadenza con il tuo contratto, di essere stufo della tua azienda, o di rimanere a casa dopo una ristrutturazione aziendale per mettere mano alla tua agenda di contatti.

Prendi la tua lista contatti e organizza un incontro con un tuo collega, con qualcuno con cui hai delle affinità professionali o con un tuo contatto LinkedIn interessante.

Persone che condividano con te qualcosa della tua professione, o facciano parte di un qualche tuo giro, qualcuno che “ti capisca” insomma.

Si, ma che vantaggi ho?

Puoi pensare che sia tempo perso dedicarti a costruire e curare relazioni professionali, ma è un guadagno per tanti motivi:

  • Condivisione di informazioni e news del tuo settore professionale. Anche se al momento non stai cercando un nuovo posto di lavoro (o clienti), ti aiuta a migliorare nella tua professione. Se per esempio stai seguendo un importante progetto nella tua azienda, possono venirti nuove idee o strategie, anche solo raccontandolo ad un’altra persona.
  • Condivisione di soluzioni/nuove idee. C’è sempre da imparare dagli altri e da farsi ispirare. Come gli altri posso imparare da te. Dal racconto del percorso lavorativo dell’altro possono arrivarti molti spunti: come ha fatto ad ottenere quel colloquio con quella persona importante; quali sono le mosse giuste per arrivare a posizioni di importanza in azienda; cosa ha scritto nel suo profilo LinkedIn che ha riscosso successo con alcuni head hunter; come cura il proprio web marketing.
  • Hai dei feedback sul tuo percorso professionale. Il confronto può aiutarti a verificare se le azioni che hai messo in pratica finora tu sono vincenti o no. Ad esempio se il tuo profilo LinkedIn è scritto bene, se per ottenere il posto che desideri devi integrare con qualche specializzazione, se i recruiter che stai contattando e la modalità sono giuste.
  • Non ti senti solo. Trovare persone che condividono con te le stesse problematiche ti fa trovare uno spazio dove ci sono tuoi “alleati”.
  • È solo incontrando le persone dal vivo che capisci se c’è feeling. Non c’è niente di male, possiamo essere più affini, professionalmente parlando, ad alcune persone rispetto ad altre. Per il nostro business è importante circondarci e collaborare con persone con cui ci sia affinità
  • È un momento di “self-care”. Relazionarsi con altre persone è comunque un momento di spazio che dedichiamo a noi stessi e che può essere rigenerante, molto piacevole o anche divertente!

Io nel giro di qualche giorno ho incontrato tre fantastiche donne che come me fanno parte del Boutique Business Club; pranzato con un’amica coach; incontrato tanti colleghi coach al “Get together” un evento formativo organizzato dalla Coaching & Coaching, la scuola con cui mi sono certificata.

Risultato: ho focalizzato meglio nuove idee di offerta e di strategie; un feedback positivo su alcune cose che ho messo in campo (continua così!); condivisione di problematiche comuni, abbiamo trovato delle soluzioni e nuovi spunti ascoltando le altre; ci siamo anche divertiti!

Il giusto atteggiamento

Per costruire delle relazioni è importante l’atteggiamento.

Prima di tutto, quando si fa networking è importante porsi con lo spirito del “dare”, non pensando solo a cosa questa persona può fare per noi.

Fondamentale essere sinceri e aperti, porsi con positività e curiosità verso l’altro, oltre ad ascoltare attentamente. Se non siete sinceramente interessati all’altro, ma vi ponete solo con l’ottica di chi vuole “prendere” senza dare, le altre persone lo capiranno, anche a livello inconscio.

È faticoso? Si, lo è! Ci vuole tempo, pazienza e dedizione, ma ne vale la pena.

Non aspettare di essere in una “posizione di bisogno e di urgenza”, costruisci e cura la tua rete di contatti e fanne un tuo stile di vita professionale!

POSSO DARTI UN FEEDBACK?

Il feedback è uno degli strumenti di comunicazione più preziosi per un leader, come nel team e con i clienti. NON è un consiglio, un parere o un giudizio. Lo sai dare in maniera corretta?

“Posso darti un feedback?” è una domanda che pongo spesso come coach.

Nel coaching si chiede il permesso perché il coachee potrebbe non essere pronto a riceverlo. In azienda e nel campo professionale, può succedere di darlo (e allo stesso modo lo riceviamo) senza tanti preamboli, o senza strutturarlo bene, e rischiamo di non ottenere l’effetto che desideriamo, facendolo diventare un boomerang.

Dare un feedback efficace non è semplice, dovrebbe essere pensato in modo tale per cui il messaggio arrivi in maniera corretta, perché è il modo in cui diciamo le cose più del contenuto che determina il successo o meno della comunicazione.

Ma cos’è il feedback?

Feedback in italiano si traduce come “riscontro, verifica, confronto”, ma è ormai un termine di uso comune nel campo professionale.

Contraddistingue una comunicazione verso un’altra persona (o un gruppo) dove facciamo delle osservazioni costruttive circa un suo comportamento, lo svolgimento di un compito o mansione.

Nel coaching il feedback è un “regalo”, qualcosa che il coach vede, attraverso l’osservazione di comportamenti o fatti concreti, e vuole restituirlo al suo cliente per aiutarlo ad allargare la sua visione o farlo crescere, sostenerlo nel fare un passo avanti verso l’obiettivo; ma può essere anche un riconoscimento, un input per farlo riflettere sul percorso che ha fatto.

Oltre ad essere uno strumento importante e prezioso nel coaching, allo stesso modo, lo è nella vita professionale. Quasi tutti i giorni ricevi dei feedback dal tuo capo e dai tuoi colleghi, tu lo dai al capo e ai tuoi colleghi, i clienti non fanno altro che “regalarteli”, e viceversa.

L’anno scorso all’evento “I 4 pilastri della Leadership” di Performance Strategies 3 relatori su 4 (Daniel Goleman, Dan Peterson e Giuseppe Vercelli, per intenderci) parlando di come dovrebbe agire buon Leader si sono soffermati a parlare anche del feedback.

Il feedback positivo, questo sconosciuto

Mi è capitato di leggere recentemente degli articoli sui benefici del feedback e di rimanere stupita dal fatto che si soffermasse solo sul feedback di miglioramento, quello negativo per intenderci, dove fai osservare solo i comportamenti che non vanno bene o sono appunto migliorabili.

Questo riflette un po’ la tendenza nel mondo aziendale, ma oserei dire anche nell’ambito personale, a concentrarsi su quello che non va, e di non rilevare ciò che va molto bene!

Il feedback di riconoscimento, o feedback positivo, si dà quando si riconosce una qualità positiva all’altro o lo incoraggia, indicando che quella è la direzione giusta.

È un ottimo modo per creare fiducia, spirito di collaborazione e squadra, di rafforzare una relazione, oltre ad essere utile per chi lo riceve in termini pratici (“finalmente sono riuscito a far bene quel report” “ora ho capito bene cosa voleva il mio capo”) sia perché la persona si sente riconosciuta per quello che fa.

Quindi abbondate di feedback positivi! Provate a prendere l’abitudine di darne almeno un paio al giorno.

Per un feedback perfetto!

Quindi qualche regola/suggerimento per dare un feedback efficace.

  • Il feedback si basa sull’osservazione e la rilevazione dei comportamenti e fatti concreti deve essere il più possibile oggettivo, concreto e specifico, come per esempio lo sforamento delle tempistiche, dei dati non corretti, una tabella poco chiara, la mancata applicazione di una procedura. Usa parole tipo “ho osservato, ho rilevato che..”
  • Chiediti innanzitutto se è utile e a chi: che obiettivo vuoi raggiungere con la tua comunicazione? Portare avanti il progetto, correggere un comportamento di un collaboratore, migliorare l’efficienza di una procedura, creare maggiore spirito collaborativo o di squadra, motivare un collega.
  • Il feedback non è un consiglio o un parere, deve essere il più possibile neutrale
  • Non è un giudizio. Non dare giudizi sulla persona “Tu sei così”, ma riferisciti ai comportamenti, soprattutto non usare parole tipo mai o sempre. Cerca l’apertura facendo domande. Ad esempio “ultimamente sei sempre in ritardo!” ma piuttosto “ho notato che ultimamente arrivi in ufficio più tardi del solito, c’è qualcosa che non va?”
  • È un’occasione di crescita sia per chi lo riceve che per chi lo dà.
  • In generale, sii più abbondate con i feedback di riconoscimento.
  • Prima del feedback di miglioramento, cerca di inserire sempre quello positivo (si, c’è qualcosa di positivo che puoi dire! trovalo).
  • Il feedback negativo va dato in privato, mai davanti a tutti o i colleghi perché risulterebbe umiliante e probabilmente otterresti l’esatto effetto contrario.
  • Può sembrare banale, ma non lo è: gestisci le tue emozioni e cerca di essere il più possibile calmo. Se alzi la voce o sei troppo “ruvido” probabilmente non verrai ascoltato.
  • Dai il feedback nel giusto contesto. Non aspettare troppo a fare quelle osservazioni o quel complimento, spesso è meglio affrontare subito le situazioni o sfruttarle per dare la giusta direzione alla squadra o al progetto.
  • Dopo aver dato il feedback chiedere alla persona cosa ne pensa di quello che hai appena detto, servirà ad aprire il dialogo e il confronto.

Hai anche tu delle tecniche per dare i feedback? Vuoi condividerle con me?

Se vuoi migliorare la tua tecnica nel dare i feedback o la tua comunicazione, scrivimi all’indirizzo cmelis@coachingpower.it per fare una chiacchierata senza impegno: troveremo la soluzione giusta per te!

 

 

CE L’HAI IL PIANO B?

Se alla mattina andando in ufficio hai il mal di pancia o non ti vedi tutta la vita a fare lo stesso lavoro hai bisogno di un “piano B”

A luglio ho iniziato a lavorare con un cliente sul suo “piano B“. Giacomo è alla ricerca di un nuovo lavoro, a causa di una ristrutturazione aziendale, ma vuole sfruttare l’occasione del percorso di coaching per di verificare l’esistenza di un’altra strada possibile, che magari senta più appagante, alla sua già brillante carriera professionale ben tracciata da anni.
Sempre più sento persone che vorrebbero rimettersi in gioco o sono annoiate dal loro lavoro. Certo ci si può anche accontentare o “arredare il tunnel“, come scrivevo in un mio precedente post, ma valutare un cambiamento lavorativo è “gratis” poi si può decidere di non attuarlo e riporlo nel cassetto, insieme agli altri sogni.

In effetti, quando scegli il percorso di carriera, l’università o il lavoro che farai da grande, puoi essere poco consapevole di quali siano le tue attitudini e di cosa ti piace fare davvero, spesso facciamo scelte “razionali” senza fare un vero bilancio di competenze e di opportunità. Io, per esempio, non ero totalmente conscia che avrei potuto sfruttare altre mie attitudini oltre al fatto che mi piacessero “i numeri”.
Nel corso degli anni, poi, puoi anche scoprire che il lavoro che tanto desideravi fare in realtà ti annoia a morte o è molto diverso da come te lo eri immaginato. Sono cose che succedono anche nelle migliori famiglie!

O semplicemente sei cambiato tu! Dopo anni della “stessa minestra” è possibile che tu voglia vedere un’altra prospettiva o comunque dare una svecchiata alla tua vita professionale, cambiando azienda o magari solo mansione.
È il famoso problema dello svegliarsi la mattina e avere il pensiero di andare in ufficio con il mal di pancia.

Altre volte non è una scelta dover riconsiderare le scelte professionali fatte anni prima, magari anche contro la propria volontà, come nel caso di Giacomo: una ristrutturazione aziendale che ti riassegna in un nuovo compito, l’azienda che chiude, una fusione. Andiamo incontro ad un mercato del lavoro sempre più flessibile ed esigente, che richiede nuove figure e smette di cercarne altre.

Scongiurando eventi “nefasti”, tutto può succedere. Per questo è importante avere un piano B (ma anche C e D), per non farsi prendere alla sprovvista se le cose si modificano improvvisamente e sei costretto a fare delle scelte forzate. O solo per avere una possibilità in più rispetto a quello che hai ora, per non scegliere un lavoro basandoti sul “meno peggio”.

È l’occasione per chiederti cosa vuoi veramente dalla tua vita lavorativa, di ribaltare il concetto del “lavoro a vita” come lo vedeva la generazione dei nostri genitori, e la concezione del lavoro visto come dovere e non come scelta personale, magari piacevole.

Attenzione, non sto parlando di dimetterti in tronco per espatriare e aprire un chiringuito in Brasile o di vendere tutto e metterti in viaggio come travel blogger per il mondo (o forse è quello che farai), ma di aprire il tuo orizzonte di possibilità, scoprire o spolverare le tue competenze, tirare le somme da cosa hai imparato nel tuo lavoro finora, cosa hai rafforzato e in cosa ti sei scoperto bravo (o lo scoprirai!)

Ok, ma come lo faccio il piano B?

Ti propongo una serie di riflessioni e domande che ti aiuteranno ad iniziare ad allargare la tua visione del lavoro e a focalizzare altre possibili strade.
Prendi carta e penna e iniziamo!

Fai il bilancio delle tue competenze
Ma quali sono i tuoi talenti? Mi spiego meglio: quali sono quelle attività che tu fai, ti vengono bene e ti viene semplice fare, magari divertendoti? e lo faresti anche gratis proprio perché ti diverte!

È la concezione del lavoro come gioco, come introduce il libro “Mollo tutto: e faccio solo quello che mi pare” di John Williams che ha aiutato me a focalizzare quali fossero i miei talenti.
Una delle prime cose sul quale chiedeva di domandarsi era: “Qual è quella attività che ti piace fare e che ti sembra di fare giocando?”.
Io mi ero riconosciuta ad esempio la capacità di ascoltare e sostenere le persone, anche quella di far fare un ottimo shopping alle mie amiche, ma ho deciso di non utilizzarlo, per ora!

Scrivi quali sono i tuoi possibili talenti, anche quelli che ti sembrano cose banali! Tipo “organizzare weekend con itinerari fuori città per gli amici”.

Quali caratteristiche deve avere un lavoro per te?
A cosa non potresti proprio rinunciare? sono quelle caratteristiche che il lavoro dovrebbe avere per te, assolutamente.
Ad esempio:

  • imparare cose nuove continuamente,
  • una routine bene consolidata,
  • metterti in relazione alla gente,
  • viaggiare,
  • un buon equilibrio lavoro/tempo libero
  • stare in ufficio,
  • stare all’aria aperta,
  • ben pagato,
  • possibilità di crescere,
  • avere orari flessibili

Quali sono i tuoi valori?
Fai un elenco di “cosa è importante davvero per te” e intendo qualcosa che va ben oltre l’ambito lavorativo, sono i tuoi valori, qualcosa su cui non sei disposto a passare sopra. Come ad esempio la famiglia, la stabilità, lo status sociale, la serenità, giustizia sociale, ecc.

Descrivi la tua giornata ideale
Ora prova a descrivere la tua giornata lavorativa ideale.
A che ora ti svegli? A che ora inizi a lavorare? In che zona è la tua sede di lavoro? Ti muovi a piedi, in macchina, con i mezzi? Vai in un ufficio open space? Lavori in un coworking? Sei in giro per clienti? Com’è il tuo abbigliamento di lavoro? quali strumenti informatici usi? Hai molti appuntamenti? Lavori da solo o in team?
Non porti limiti, pensala proprio come la desideri in ogni dettaglio.

Ok, e ora?
Ora rileggi il tuo foglio in tutti i punti, e vedi quali sono i punti che si intersecano, vedi qualcosa?
Ovviamente questa è una piccola base per iniziare una “grande riflessione”, la fase preliminare di un eventuale percorso. Magari hai scoperto rispondendo alle domande che il lavoro che già fai è il lavoro che fa per te.

Condividi con me le tue riflessioni, lascia un commento o scrivimi! cmelis@coachingpower.it