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PERCHÉ NON STAI FACENDO CARRIERA

Può capitare anche se ti dai moltissimo da fare a lavoro, che ti venga preferito qualcun altro perché devi ancora sviluppare alcune competenze di intelligenza emotiva e leadership: La storia di Marco

Nonostante gli sforzi e le tue capacità tecniche non sei stato scelto per quel nuovo ruolo interno per cui ti eri proposto. Avrebbe dato una svolta alla tua carriera e lo stavi aspettando da tempo.
Ti è successo?
A Marco, nome fittizio, 38 anni e un ruolo nell’ambito finanza e controllo di una grande azienda, è capitato proprio questo. Ti racconto la sua storia, mettendo in luce le competenze sulle quali dovrebbe lavorare per raggiungere il suo obiettivo.

Ovviamente spesso ci sono altre dinamiche relazionali e di strategia aziendale che qui non prendiamo in considerazione, ma che possono avere il loro peso in queste decisioni.

La storia di Marco

Marco mi racconta dei problemi legati al suo lavoro, lavora tanto, spesso fino a tardi, ma non è soddisfatto e vorrebbe cambiare azienda, soprattutto dopo che non ha ottenuto il posto interno per cui aveva fatto domanda.
Il suo lavoro gli piace, ha un ruolo di responsabilità, in una grande azienda, in cui si è spostato sperando nella carriera internazionale.
Inoltre, nell’ultimo colloquio di valutazione il suo capo gli dice che quest’anno “ha fatto il suo”, quindi non si sente riconosciuto per il lavoro che invece ha svolto con dedizione per la sua azienda.

Marco ha indubbie capacità analitiche-tecniche e organizzative, ha delle precedenti esperienze in altre aziende, sempre in ruoli di responsabilità.
Quindi la mancata carriera deriva da qualcosa di diverso dalle sue competenze tecniche o dall’Intelligenza analitica.

Ma da dove deriva lo sfasamento tra come si percepisce lui e da come viene percepito dall’azienda?
Dal dialogo e dalle mie domande emergono delle criticità

Rapporti poco efficaci con il suo capo

Marco risponde da organigramma ad un responsabile (che gli fa anche la valutazione annuale), e funzionalmente ad un’altra persona:

  • Marco coinvolge poco il suo responsabile diretto nella sua attività, non lo allinea spesso sull’andamento dei progetti, non lo mette in copia nelle comunicazioni, in sostanza si comporta come se non ci fosse, anche se la valutazione spetta proprio a lui. La mancata promozione ovviamente non aiuta il dialogo e il rapporto tra di loro, anzi lo ha esacerbato.
  • Con il responsabile funzionale va più d’accordo e lo coinvolge di più nel suo lavoro, cura di più questo rapporto
Non contribuisce positivamente al clima dell’ufficio

Partecipa poco alla vita relazionale dell’ufficio, lavora tanto e tiene del tutto separata la vita privata da quella lavorativa e comunica poco con i colleghi, crea poco coinvolgimento e subisce molto lo stress.

Gestione poco efficace delle risorse junior o a riporto

Gli è stata assegnata una risorsa junior che non apprezza, e segue poco.
È anche irritato dal suo comportamento in ufficio perché parla anche della sua vita personale. Non è soddisfatto del lavoro che svolge e invece di mostrarle i punti di miglioramento dei compiti svolti e farglieli rifare, preferisce fare da sé il lavoro.
Ha chiesto che venisse sostituita piuttosto che applicarsi per farle della formazione e farle imparare il lavoro, ma ovviamente questo non è possibile per ora.

Come può agire Marco?

Probabilmente questi punti critici hanno influito sulla possibilità di Marco di accedere al percorso di carriera che desiderava. Banalmente il non tenere allineato il responsabile diretto sul suo lavoro gli toglie visibilità sulle attività svolte.

Le competenze manageriali critiche di Marco possono comunque migliorare e diventare efficaci per un ruolo da leader come lui desidera.
Lavorare sulle sue capacità emotive e relazionali, quali l’empatia, il gestire meglio le emozioni e lo stress lo possono aiutare a instaurare rapporti di dialogo e di ascolto sia con il suo responsabile diretto che con i suoi riporti, al fine di svolgere in maniera più efficiente il suo lavoro.
Sicuramente lavorare ora sull’attuale posto di lavoro lo aiuterà, anche se dovesse decidere di cambiare azienda, a sviluppare maggiori capacità di leadership che potrebbero aiutarlo a ricoprire la posizione che lui desidera.

Ti riconosci nell’esperienza di Marco o ne hai una simile?
Raccontamela scrivendomi all’indirizzo cmelis@coachingpower.it

LA VERITÀ, VI PREGO, SULL’INTELLIGENZA EMOTIVA

Lavorare sull’Intelligenza Emotiva vuol dire incrementare la propria performance personale. Ti spiego perché è importante per il nostro successo professionale

Nel mio precedente post ho già parlato di cosa è l’Intelligenza Emotiva: la capacità di comprendere le proprie e altrui emozioni e gestirle, riuscire ad avere relazioni interpersonali soddisfacenti, darsi degli obiettivi importanti.

Ma a cosa mi serve?

Vi è capitato di chiedervi come mai persone che sono molto intelligenti (cioè hanno un alto QI) sembrano avere meno successo o addirittura falliscono rispetto chi ha un QI più basso?

Penso al compagno di classe bravissimo in matematica e in fisica, ma che spesso stava solo o era silenzioso, parlava con pochi e alla fine non ha fatto carriera o comunque non come ci si aspettava da lui.

Poi c’era il compagno di banco che non brillava di certo per intelligenza, però era il tipico compagnone, che invece è diventato il responsabile commerciale per quella grande multinazionale.

Nel lavoro, sicuramente ha più probabilità di avere successo chi ha delle competenze tecniche più sviluppate di altri, e un QI maggiore. Ma spesso non è proprio così scontato, anzi, l’intelligenza analitica da sola non basta.

Le competenze tecniche ovviamente servono, ma da sole non sono sufficienti a farci avere successo nella vita. Ricerche mostrano che il 55% circa dei fattori di successo di una persona, quindi la sua performance personale, dipendono dall’Intelligenza emotiva.

Te lo spiego con un film: The imitation game

Faccio sempre l’esempio del il film “The Imitation Game”: la storia di Alan Turing, un matematico e critto-analista che aiuta il governo inglese durante la seconda guerra mondiale a decifrare i codici con cui i tedeschi si mandavano informazioni sugli attacchi. Un genio! Stiamo parlando della persona che inventò il computer come lo conosciamo ora, una persona con il QI elevatissimo. Bene, è proprio l’esempio calzante di una persona che ha un altissimo QI ma ha poca Intelligenza Emotiva.

Infatti, la macchina che creò (la macchina di Turing) fu utile solo grazie all’interazione con gli altri membri del team, che prima aveva snobbato. Turing si mise in gioco e sforzandosi di cambiare il comportamento sprezzante e non empatico nei confronti degli altri.

Creare relazioni di fiducia

Nella vita professionale questo è alla base. Che tu lavori in team, che tu sia un commerciale, o un libero professionista, un imprenditore, un leader, non puoi prescindere dal creare relazioni efficaci, basate sulla fiducia. Come si fa? Sviluppando l’empatia, cioè la capacità di capire gli altri, imparerai ad ascoltare in maniera più attiva i tuoi clienti, collaboratori, colleghi e anche il tuo lavoro migliorerà, garantito.

Leader o capo?

La differenza che passa tra un leader e un capo è data proprio dall’Intelligenza Emotiva.

Competenze emotive come autocontrollo, capacità di automotivarsi, entusiasmo, empatia, perseveranza, risolvere i conflitti e cooperare sono tutte abilità di una leadership illuminata.

Un buon leader, infatti, riesce grazie all’empatia a capire quali leve muovere con i suoi collaboratori per raggiungere gli obiettivi comuni; ispira gli altri grazie alla sua motivazione e vision, che trasmette a chi lo circonda.

Pensate a quanto tempo passa un manager a pianificare e gestire il lavoro e quanto invece nel cercare di risolvere conflitti o gestire incomprensioni.

Gestire le emozioni nel business

Quando poi le cose non vanno bene, come in questo periodo storico economicamente complicato, una persona emotivamente intelligente è chi riesce a perseverare nei propri obiettivi nonostante le frustrazioni, a trovare nuove via d’uscita e ad aver fiducia nelle proprie capacità.

Ma soprattutto, quando le emozioni hanno il sopravvento (nel bene e nel male) e non sappiamo gestirle, il QI ci può venire ben poco in aiuto.

Mi viene in mente il caso delle turbolenze dei mercati finanziari: quando il mercato crolla razionalmente sarebbe il caso di non uscire dalla posizione e casomai comprare, o far valutare la posizione, invece il panico innesta un’ondata di vendite che altro non fa che peggiorare la situazione.

Decidere

Quando dobbiamo prendere una decisione, per esempio, è fondamentale ascoltare le nostre sensazioni, e di conseguenza, quello che le nostre emozioni ci stanno dicendo. Se ho un peso allo stomaco e al petto nel mentre che penso ad una possibile soluzione, probabilmente quella non è la strada più efficace da prendere per la nostra vita.

Non c’è contrapposizione, come si può credere, tra emozioni e razionalità, non è vero che l’emozione è debolezza e la razionalità è sinonimo di forza, ma è vero che le due cose devono coesistere, integrarsi e interagire tra loro.

Essere emotivamente intelligenti è insomma molto importante per la nostra performance personale.

Lo sai che si può anche misurare e capire su quali competenze emotive lavorare per raggiungere i tuoi obiettivi? Dai un’occhiata al percorso “Power Coaching e Intelligenza Emotiva

Dubbi? Curiosità? Feedback? Scrivimi! cmelis@coachingpower.it

IL RISCHIO È IL MIO MESTIERE

Il rischio viene inteso solo in senso negativo, la possibilità di perdere o fallire, ma in finanza il concetto di rischio è anche positivo, perché c’è anche la possibilità di avere successo. La mia storia

Spesso leggo storie di persone che si sono messe in gioco, amici, conoscenti, che hanno incrociato la mia strada in qualche modo, e che vantano una “propensione al rischio”, nel linguaggio economico – finanziario.

Persone che hanno cambiato lavoro, si sono messe in proprio, hanno cambiato paese, si sono reinventate, hanno iniziato da zero e hanno avuto successo, tutte con il comune denominatore del seguire la propria passione, rischiando, e che hanno capito presto o tardi quali fossero i propri talenti e potenzialità.

Dove il talento è qualcosa che ci viene facile fare e che ci rende felici, per cui proviamo una passione tale per cui lo faremmo anche senza essere pagati.

Sono storie di persone comuni, non di milionari (per ora almeno!). Ma sono allo stesso modo straordinarie perché seguire i propri sogni e passioni è coraggioso.

Nel mio piccolo, anche io mi sono messa in gioco, questa è la mia storia.

In che senso “rischio”?

Il concetto di rischio è costante nella mia vita. Fino a tre mesi fa lavoravo nel Risk Management di una Società di Gestione del Risparmio, quindi il rischio era il mio mestiere.

E lo è tuttora, nel mio piccolo, visto che mi sono messa in proprio con un lavoro che mi fa prendere una strada nuova e molto diversa, per seguire la mia passione e perché, ebbene sì, è rischioso.

Di solito il rischio viene inteso solo in senso negativo, la possibilità di perdere o fallire, ma in finanza il concetto di rischio è anche positivo, perché c’è anche la possibilità di avere successo! D’altra parte il teorema rischio-rendimento recitaad un maggior rischio corrisponde un maggior guadagno”.

E no, mi spiace, non esistono investimenti con rischio nullo, perché è rischioso anche tenere i soldi sotto al materasso (c’è la svalutazione, ricordi?) o a continuare ad andare avanti nella vita senza darsi degli obiettivi.

Questa è la mia storia, ci metto la faccia, anche se la mia storia finisce con un inizio…

Dalla finanza al coaching

In me sono sempre convissute due anime, due polarità: la passione per i numeri (ero brava in matematica e mi riusciva semplice, ok odiatemi!) e la mia tendenza all’introspezione, all’amore per la lettura, la riflessione.

Avevo scelto ragioneria perché volevo lavorare in banca, non chiedetemi perché avessi questa aspirazione, non lo ricordo. Credo di essere stata l’unica che all’esame di maturità ha portato come materie a piacere Tecnica bancaria (imperterrita!) e Italiano, scegliendo Pirandello, che adoro tuttora.

Con una certa lungimiranza, mi sono iscritta a Scienze Economiche e Bancarie a Siena. Il che ha determinato due cose:

•l’abbandono della Sardegna a 19 anni, il giorno del mio compleanno, con un po’ di sana incoscienza ma per cui ringrazio tanto. E il conseguente ritiro da parte di mio padre dell’immaginario passaporto sardo, visto che per lui ora sono continentale.

•L’evidenza che le mie due anime iniziavano a cozzare l’un l’altra.

Ci ho messo un po’ a laurearmi, perché comunque ero sempre combattuta chiedendomi se era la strada giusta per me, ma alla fine, avendo deciso, ho raggiunto il mio obiettivo.

Il passo successivo? Si sa che “sbagliare” è umano ma perseverare è diabolico, mi sono trasferita a Milano nel 2003 per seguire un master in Risk management per gli intermediari finanziari, perseguendo la strada della banca e della finanza.

Ho trovato lavoro proprio nel Risk Management di una Società di Gestione del Risparmio, dove sono stata per 11 anni.

Nel 2011, nel bel mezzo di un percorso interiore iniziato alla ricerca della vera me stessa, incontro il coaching offrendomi per fare da “cavia” a Elisabetta che allora stava facendo un corso per certificarsi come coach professionista.

Grazie ad un percorso come coachee, lavorando su obiettivi relativi alla mia professione, ho iniziato un viaggio di riscoperta di me stessa, delle mie capacità e risorse, e ho focalizzato meglio i miei desideri e attitudini.

Ho messo così il primo seme per iniziare a dare risposta alle mie domande e ad ascoltare l’altra parte di me stessa (quella riflessiva) e a chiedermi quali fossero i miei altri talenti finora non sfruttati.

Questa riflessione mi ha portato ad iscrivermi al corso per diventare una coach professionista, dando inizio a 3 anni in cui ho portato avanti entrambi i miei lavori, con molta fatica, e la mia tendenza si è spostata sempre più verso il mio essere coach, aiutandomi ad esprimere finalmente la mia naturale attitudine ad essere “umanamente curiosa” e ad allenare quella parte di me aperta all’ascolto e all’accoglienza.

Dopo un percorso un po’ travagliato, fatto di valutazioni, domande, riflessioni, ascolto di me stessa e anche di calcoli economici (la tendenza non si cambia mai del tutto), mi sono dimessa a dicembre 2015.

Da poco più di tre mesi sono una coach al 100% e mi sto sperimentando nel trovare un nuovo equilibrio, testando le gioie e i dolori di essere libera professionista.

Certo la storia non termina con una fine da milionaria, in realtà termina con un inizio, di una nuova avventura.

È un po’ presto per fare bilanci, ma il mio successo, il significato che ha per me questa parola, sta proprio nel fare un lavoro che amo e che mi appassiona al 100%. Anche se un po’ mi mancano i miei colleghi.

Che risorse ho messo in gioco?

Non è stato facile e posso dire che il mio percorso è stato costellato di molti bellissimi e importanti incontri, con persone che mi hanno incoraggiato e sostenuto.

Il networking è stato fondamentale!

Anche se la maggior parte delle persone ha cercato di farmi cambiare idea o mi faceva terrorismo circa la crisi, il rischio e compagnia bella. Loro sono stati ancora più importanti per far emergere la mia motivazione.

Mi è stata utile la capacità di darmi grandi obiettivi, di allineare i miei valori con le mie scelte di vita e con il lavoro che faccio, ascoltare le mie emozioni e la mia motivazione interiore; la capacità di inventare nuove strategie in caso di insuccesso, senza arrendermi.

E questo è solo l’inizio.

Tu hai mai pensato di metterti in gioco? Se vuoi raccontamelo nei commenti o scrivimi cmelis@coachingpower.it

Se vuoi guarda il mio profilo LinkedIn e chiedimi la connessione, magari con un messaggio personalizzato 😉