Articoli

Intelligenza Artificiale e Intelligenza Emotiva: la collaborazione del futuro

Articolo scritto con Giacomo Bosio apparso su QI – Quale Impresa – La rivista dei giovani imprenditori – maggio/giugno 2019

 

Possono intersecarsi e collaborare Intelligenza Artificiale e Intelligenza Emotiva? In questo contesto di incertezza ed estremamente mutabile, di vera scoperta della tecnologia e del digitale, porci questa domanda e trovare le risposte è fondamentale

Siamo immersi in un contesto economico e sociale che viene definito VUCA, sempre più volatile, complesso, incerto e ambiguo che sta rivoluzionando le nostre vite e in particolare l’organizzazione delle imprese e del lavoro

Le nuove scoperte in ambito tecnologico, in particolare l’Intelligenza Artificiale, stanno impattando fortemente sia l’ambito sociale sia quello organizzativo, e d’altra parte è sempre più necessario sviluppare delle competenze “soft”, che consentano di adattarsi in maniera sostenibile al nuovo scenario.

Da un lato, alcune attività, soprattutto quelle più ripetitive, ma anche quelle cognitive, verranno svolte da algoritmi di Intelligenza Artificiale, mentre diventa sempre più strategico allenare le capacità emotive e relazionali, tipiche dell’Intelligenza Emotiva.

Come possono intersecarsi questi due mondi apparentemente molto diversi e distanti?

Intelligenza artificiale e intelligenza emotiva: cosa sono?

Possiamo farci tante domande, pensare a varie applicazioni, ragionare su scenari fantascientifici e apocalittici, ma chiediamoci, innanzitutto, cosa siano queste due intelligenze.

Intelligenza artificiale

/in·tel·li·gèn·za ar·ti·fi·cià·le/

L’intelligenza artificiale è una disciplina che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.

Intelligenza emotiva

/in·tel·li·gèn·za e·mo·tì·va/

L’intelligenza emotiva è un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. È la capacità di relazionarsi in maniera efficace, entrando in empatia con l’altro, oltre alla capacità di darsi una direzione di vita.

Intelligenza artificiale: opportunità e sfide

Se dicessimo che le nostre vite e il nostro lavoro non saranno in alcun modo intaccati da questo cambiamento, diremmo qualcosa di molto lontano dalla realtà.

Le opportunità offerte dai sistemi che fanno uso di intelligenza artificiale sono molteplici: le macchine sono oggettivamente più efficienti e veloci di noi umani nella gestione e interpretazione di grandi moli di dati, nell’effettuare calcoli complessi e nell’automatizzare processi.

In pratica, potremmo creare un sistema per la gestione dei nostri Clienti in grado di rispondere 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza stancarsi.

Potremmo anche avere un software in grado di analizzare le conversazioni online relative al nostro brand per capire quello che è il sentiment intorno al nostro marchio e analizzare le azioni/reazioni che si verificano sui vari canali in seguito a una campagna marketing.

Potenzialità che vanno probabilmente oltre la nostra immaginazione e che creano non pochi dubbi sull’utilizzo e l’eticità di questo tipo di tecnologie. Gli algoritmi di machine learning e deep learning hanno subìto una tale evoluzione da riuscire a risolvere problemi che anni fa avremmo ritenuto impossibili e, quando lo fanno, l’umano non è sempre in grado di ricostruire il processo cognitivo della macchina. In sintesi: sai che ha funzionato e che il risultato è corretto, ma non sai sempre il perché.

Tutto questo avrà sicuramente anche un impatto sui lavori: non è un caso che il 60% degli attuali lavori possa essere automatizzato al 30% con l’utilizzo di sistemi intelligenti[1] e che il World Economic Forum ipotizzi che 5 milioni di posti di lavoro andranno persi nei prossimi anni a causa dell’intelligenza artificiale (AI), della robotica e altri fattori socioeconomici.

Quali competenze diventeranno più importanti per essere competitivi sul posto di lavoro del futuro?

Secondo le discussioni del WEF, nell’ambito dello studio del “Future of work”, Intelligenza emotiva, adattabilità e disponibilità ad apprendere, saranno le capacità che maggiormente consentiranno la sopravvivenza dei posti di lavoro. Infatti, l’Intelligenza Emotiva è indicata dal WEF al 6° posto tra le 10 competenze che saranno sempre più richieste nelle persone a partire dal 2020, che è alle porte.

Nasceranno altri lavori, nuove competenze: è quindi fondamentale guardare all’innovazione con particolare attenzione, al fine di non farsi trovare impreparati anche e soprattutto su quelle competenze che vedono le macchine in svantaggio rispetto all’umano.

Perché è importante l’intelligenza emotiva?

L’Intelligenza Emotiva (IE o QE quoziente emotivo) è l’abilità di utilizzare le emozioni in maniera efficace: è un insieme di competenze che ci permette di integrare la parte razionale del nostro cervello con quella emozionale.

Riguarda la comprensione di noi stessi, dei nostri umori e sentimenti, dei nostri obiettivi. È la capacità di auto-motivarci e gestire i nostri stati mentali ed emotivi anche quando siamo sotto stress. Significa comprendere l’altro e le sue emozioni per rapportarci in modo efficace aumentando il coinvolgimento nei nostri obiettivi.

Nel lavoro, sicuramente ha più probabilità di avere successo chi ha delle competenze tecniche più sviluppate di altri e un QI maggiore. Ma spesso non è proprio così scontato, anzi, l’intelligenza analitica da sola non basta.

Le competenze tecniche ovviamente servono, ma da sole non sono sufficienti a farci avere successo nella vita. Ricerche mostrano che oltre il 50% dei fattori di successo di una persona, quindi la sua performance personale, e dunque la sua efficacia, dipendono dall’Intelligenza emotiva[2].

Chi ha una IE sviluppata agisce intenzionalmente invece che reagire, è quindi capace di creare uno spazio di riflessione che, integrando emozioni e dati analitici, porta ad una capacità decisionale più efficace e sostenibile.

Daniel Goleman, psicologo americano esperto di IE, ha dichiarato che quando si tratta di prendere una decisione importante, la parte relativa alla spinta emozionale conta in media l’88%. Essere consapevoli delle proprie emozioni è quindi fondamentale per prendere delle decisioni veramente efficaci, anche in situazione di forte stress.

Se sappiamo essere coscienti delle emozioni e riusciamo ad integrarle con la nostra parte razionale, aumenteremo la conoscenza di noi stessi, la nostra capacità relazionale e la nostra efficacia nel raggiungere gli obiettivi. Al contempo riusciremo a coinvolgere gli altri nella nostra missione.

Le emozioni sono infatti delle informazioni che ci arricchiscono, sono energia che possiamo utilizzare e ascoltare per avere maggiore consapevolezza.

Le abilità dell’IE sono fondamentali per la leadership, il team work, il customer care, le relazioni personali e la salute.

Inoltre, queste competenze possono essere acquisite e allenate per aumentare la propria IE e quindi la propria performance.

Integrare le capacità di Intelligenza Emotiva significa favorire la trasformazione delle competenze delle persone da hard skills, legate ad una visione fordista dell’organizzazione, a soft skills, necessarie per un’industria innovativa.

Uno scenario di collaborazione uomo – macchina

Che fare, quindi? Non ci resta che utilizzare le competenze umane per progettare e collaborare con le macchine.

La progettazione di un sistema intelligente non ci esime da considerare le basi di quella che è l’interazione uomo – macchina e di come noi umani siamo abituati ad interagire con quello che ci circonda.

Lato utente, poi, dobbiamo iniziare a non vedere più le macchine e i sistemi intelligenti come meri strumenti, ma come partner. Tecnologia non in sostituzione dell’umano, quindi, ma al nostro servizio con il fine di estendere quelle che sono le nostre capacità per compensare le nostre debolezze e compiere task in maniera più efficiente e veloce.

Un esempio? Un team dell’Università di Harvard ha compiuto un esperimento sulla diagnosi del cancro. L’intelligenza artificiale, da sola, è riuscita a fare una diagnosi corretta nel 92% dei casi. Risultati migliori per il medico esperto, che ha raggiunto il 96% di successo. Il dato incredibile, però, è quello che è uscito dalla collaborazione fra uomo e intelligenza artificiale, dove si è registrata una diagnosi corretta nel 99,5% dei casi.

In effetti AIDP (Associazione Italiana Direttori del Personale), nella ricerca “Robot, intelligenza artificiale e lavoro in Italia“, conferma che per il 56% delle aziende, l’intelligenza artificiale avrà soltanto la finalità di supportare le persone. AI come estensione delle attività umane e non un rischio per la loro sostituzione. Si parla in questo caso di Augmented Intelligence[3].

La Trasformazione

C’è un altro dato interessante che emerge dall’analisi di un panorama fatto di soft skill e di nuove competenze tecnologiche: le imprese che meglio si stanno comportando su tematiche legate alla Trasformazione Digitale, sono proprio quelle che promuovono molto il lavoro in team, valorizzando la partecipazione dei lavoratori.

Si parla quindi di organizzazioni che abbandonano la vecchia gerarchia verticale per lasciare spazio a quella orizzontale, dove la leadership diffusa diventa centrale e dove le nuove tecnologie diventano un aiuto e un incentivo a mantenere attive le relazioni. Trasformazione che può essere possibile solo grazie allo sviluppo e all’integrazione di competenze “soft” che facilitino la collaborazione e la comunicazione nell’organizzazione e che rendano le persone più flessibili e veloci nell’accogliere i cambiamenti sempre più repentini.

Proprio da queste pagine, parlavamo del cambio culturale necessario per avviare in azienda un progetto di smart working. Evoluzione delle competenze, nuove tecnologie, soft skill, team smart e un nuovo modo di concepire il lavoro nello spazio e nel tempo: questi gli ingredienti del lavoro del futuro. Perché l’innovazione è prima di tutto un’opportunità.

[1]Fonte: dati Osservatori Politecnico di Milano

[2] https://www.6seconds.org/2019/03/12/white-paper-emotional-intelligence-and-success/

[3] IBM si riferisce a Watson, il suo motore di AI, parlando di Augmented Intelligence e non di Artificial Intelligence.

Sei il regista o uno spettatore del film della tua vita?

Ti senti bloccato in una situazione in cui non sai cosa fare, oppure lo sai benissimo, ma non lo fai? Stai facendo lo spettatore del film della tua vita!

Una delle mie passioni è il cinema. Adoro perdermi nella trama, ammirare la fotografia, apprezzare la capacità performativa dell’attore.

Il tutto seduta in poltrona, dove al massimo mangi i pop corn (la mia amica Rosita me lo impedirebbe), commenti, ti commuovi, ridi. Se una scena non ti piace, non apprezzi la fotografia, e neanche il finale, non puoi dire “stop! Ripetiamo tutto” come potrebbe fare invece il regista, che crea e plasma la narrazione con la sua creatività.

Ora immagina che il film proiettato sia la tua vita e tu lo spettatore che la guardi scorrere.

Ti è mai successo di essere bloccato in una situazione in cui non sai cosa fare, oppure lo sai benissimo, ma non lo fai?

Ecco, equivale ad stare seduto in poltrona ad assistere al film della tua vita, e non riesci a decidere la trama, quale scena ripetere (o magari era buona la prima), quali inquadrature favorire.

E intanto scorre davanti a te.

Essere regista della tua vita vuol dire prendere in mano le decisioni, fare delle azioni concrete, per arrivare al gran finale che desideri.

Vuol dire prenderti la responsabilità di guidare le tue scelte.

La responsabilità personale, un valore in cui mi sento impegnata, sulla quale il coaching va sicuramente ad agire.

La responsabilità come valore

Sono rimasta colpita, anni fa, dai risultati dell’indagine sui “Valori della Nazione” realizzata da VocAzione nel 2013 in Italia, in cui la responsabilità personale appare nella classifica tristemente al 48esimo posto (in Svizzera risulta al primo posto, in Svezia al quarto e negli Stati Uniti al sesto).

Questo fa intuire la tendenza, ancora adesso valida probabilmente, degli italiani a sentirsi poco protagonisti della vita politica, economica e sociale del nostro paese, dove le persone sentono di poter avere scarsa influenza su quello che gli accade, poco responsabili della propria vita.

E cosa c’entra con il coaching?

Quante volte ho sentito da parte dei miei clienti le frasi:

  • È colpa mia/sua/loro!
  • Non posso farci niente, non dipende da me.

L’utilizzo del termine “colpa” spesso sottende un senso di disagio, impotenza, un significato emotivamente non piacevole.

Allenarsi con il coaching ad aprire spazi di riflessione più ampi, ad elaborare strategie e piani d’azione, quindi a compiere gesti concreti verso l’obiettivo, aiuta a passare dal concetto di colpa a quello di responsabilità.

Porta a chiedersi “cosa posso fare io?”.

Vuol dire passare dal sentirsi vittima delle circostanze, di una situazione, ad una presa di coscienza della propria capacità d’azione e auto determinazione.

È più facile pensare di non poter cambiare la situazione in cui siamo, e rivolgersi all’esterno (spesso inconsciamente) per trovare i colpevoli dei nostri insuccessi o semplicemente i responsabili di quello che ci sta succedendo.

In genere, se sentiamo di avere poco senso del controllo su qualcosa, siamo anche più portati a non assumercene la responsabilità.

In che modo il coaching stimola la responsabilità personale?

Sono diversi i modi in cui il coaching si rivela uno strumento utile per sviluppare la responsabilità personale.

Il coaching, innanzi tutto, attraverso la definizione di obiettivi reali, e quindi stimola il senso del controllo.

La persona, grazie alle domande del coach, focalizza l’obiettivo desiderato, visualizza la situazione una volta raggiunto l’obiettivo, prevede i tempi, misura il suo impegno e riconosce il valore che egli stesso attribuisce alla sua meta.

Decidendo di dedicare tempo ed impegno alla realizzazione del suo progetto se ne assume quindi la responsabilità.

Lo sviluppo e l’attuazione del piano d’azione portano ad esperienze di successo ed elevano il senso del controllo nelle persone, costruendo una maggiore fiducia nella propria autoefficacia.

Nell’Intelligenza Emotiva la competenza “esercitare l’ottimismo” sta proprio ad indicare l’abilità di sentirsi o meno, capaci di trovare una soluzione ed agirla, ritenersi registi della propria vita insomma. Lavorare su questa competenza è fondamentale per raggiungere gli obiettivi.

Ma chi? Io?

L’ho vissuto anche io il passaggio dal “è colpa di” al rimboccarmi le maniche e assumermi le mie responsabilità, quando ho incontrato casualmente il coaching, ovviamente!

In una delle prime sessioni di coaching (come coachee), dopo una lunga esplorazione di quella che era la situazione che io volevo migliorare arrivò la classica e doverosa (e, in quel momento, per me potentissima) domanda da coach “cosa puoi fare tu per risolvere questo problema?”.

Non ricordo esattamente cosa risposi, forse niente, ma ricordo perfettamente di aver pensato “Ma chi, io? Io non posso farci niente, non dipende da me!”. Non è colpa mia!

Ero abituata a pensare di non poter avere impatto nella mia vita, o di averne solo in minima parte, spesso proiettavo all’esterno le responsabilità e quella domanda, che sottintendeva la possibilità di agire in prima persona per cambiare la situazione, ebbe il potere di illuminarmi e spingermi all’azione.

E quindi avevo agito, cambiando la situazione. In meglio, ovviamente!

Da quando ho raggiunto questa consapevolezza ho imparato un nuovo modo di rapportarmi alla mia vita. Riesco a focalizzarmi sulle soluzioni più che sul problema per cercare di risolverlo e mi sento più regista della mia vita.

E tu? Il tuo piano d’azione

Mi rendo conto che non è facile cambiare il proprio modo di pensare, il paradigma, ma il cambiamento può iniziare anche da un solo piccolo passo.

  • Pensa ad una situazione che senti “ingessata”, prova a scrivere come vorresti che fosse invece la situazione, come se si fosse realizzata (al presente, indicativo e in positivo).
  • Scrivi qualche azione che potrebbe portare più vicino a quella situazione desiderata.
  • Individua una piccolissima azione tra queste che potrebbe “rompere il ghiaccio” e decidi di farla entro pochi giorni, dandoti una scadenza.

Hai appena scritto un obiettivo e un piano d’azione!

Provaci e fammi sapere come va, se vuoi! Scrivimi una mail: cmelis@coachingpower.it

Sei sicuro di volere la promozione?

Fare carriera e diventare “capo” è un’ambizione di molti, ma è anche un grosso cambiamento. Tu sei pronto?

Finalmente dopo anni sembra essere il tuo turno! Hai ottenuto una promozione e guiderai un team di persone.

Fare carriera e ricoprire incarichi di responsabilità è l’obiettivo di molti. Non solo per il compenso economico, ma anche per il riconoscimento che questo comporta, da parte dell’azienda e dei propri responsabili. È poi una prova tangibile che si sta lavorando bene e che i nostri sforzi sono stati ripagati.

Ma è tutto oro quello che luccica? Sei veramente preparato a fare il salto di qualità?

Ho già parlato in un mio precedente post di Marco che non era stato promosso perché non aveva i requisiti “giusti”, qui affronto le sfide che devi affrontare quando aumenta il tuo ruolo di responsabilità.

Non è tutto oro quel che luccica

Spesso fare carriera internamente, cioè crescere nella stessa azienda, è un gran cambiamento, e come tale, se non gestito, e affrontato con i giusti strumenti e preparazione, può mettere in difficoltà.

Sicuramente te lo sei meritato, hai lavorato tanto, ti mantieni costantemente aggiornato, non ti sei mai tirato indietro di fronte a carichi di lavoro impegnativi e lavori bene con i tuoi colleghi.

A cambiare non sarà solo il tuo “job title” su LinkedIn e il tuo posto nell’organigramma aziendale, ma la sfida è sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista della tua forma mentis del lavoro.

Infatti, quando ti trovi a gestire un team, per quanto tu possa essere preparato nelle competenze tecniche, devi sviluppare (o accrescere) delle competenze e degli strumenti.

Quali sono le sfide?

Prima colleghi ora collaboratori

Una prima difficoltà a cui ti puoi trovare davanti è che quelli che prima erano i tuoi colleghi diventano i tuoi collaboratori. Se già gestivi un team di persone e ora sei responsabile dell’intera area, ora diventerai il capo dei tuoi ex parigrado.

Anche se hai dei rapporti splendidi dal punto di vista personale e lavorativo, il modo di relazionarsi deve cambiare per forza di cose.

Se magari le risorse più junior potrebbero non risentire del cambiamento nel team, i colleghi con la seniority simile alla tua, in alcuni casi maggiore, possono accusare il colpo.

E non riconoscerti come capo, il che ti farà tribolare un bel po’.

Pensa a quelle situazioni in cui il capo arrivava con la richiesta di produrre quei dati “per ieri” perché c’era un’urgenza e tu e i tuoi colleghi vi guardavate tra di voi alzando gli occhi al cielo. Ecco, ora il capo sei tu! E spesso dovrai fare delle richieste del genere perché arrivano dall’alto e non puoi dire di no.

In questo caso, sicuramente ci vorrà del tempo per accettare la nuova situazione, ma devi essere bravo tu a gestire il nuovo contesto con un po’ di pazienza, adottando un comportamento più consono al nuovo ruolo e trovare il nuovo equilibrio.

Certo se sei sempre andato con loro a prendere il caffè o in palestra, ora dovresti comunque rimodulare opportunità e modo di rapportarti fuori e dentro l’ufficio con nel tuo nuovo incarico.

Cambiare prospettiva, diventare meno operativo e delegare

L’azienda ora si aspetta da te non più di smazzare numeri e produrre decine di report, ma molto di più: che tu sappia gestire il tuo lavoro e quello delle altre persone.

Dipende dal ruolo, ma sicuramente il tipo di lavoro che andrai a svolgere sarà più volto al coordinamento del lavoro e delle risorse.

E ovviamente devi essere meno operativo, che ovviamente non vuol dire che devi smettere di lavorare, ma alcune cose che facevi prima le devi delegare per poi verificarle una volta fatte.

Non puoi fare il lavoro che svolgono già i tuoi colleghi e sovrapporti.

Dovrai avere uno sguardo “più alto” sull’attività, sviluppare la visione d’insieme e coordinare invece che macinare i dati.

Devi sviluppare delle capacità trasversali

Già perché appunto puoi essere bravissimo sulle capacità tecniche, ma ora devi sviluppare capacità relazionali e di leadership.

Questo attiene maggiormente alla sfera dell’Intelligenza Emotiva, alle famose soft skills che ormai sono necessarie per chiunque, figurarsi per chi ricopre ruoli di responsabilità.

Intendo la capacità di ascoltare attivamente, coinvolgere, gestire le emozioni e lo stress, tanto per citarne qualcuna.

Dovrai sviluppare nuovi strumenti

Devi anche dotarti di strumenti quali:

  • Dare un feedback. Avevo già affrontato questo argomento in un post, non è facile dire certe cose e trovare il giusto modo per farlo, ma ora che hai delle responsabilità non puoi mancare di farlo con i tuoi collaboratori. Anche se difficile è per loro, ma anche per te, una grande occasione di crescita. Allo stesso modo dovrai imparare ad incassarli.
  • Delegare. Lo so che a volte, anzi forse spesso, faresti prima tu a fartelo da solo, ma non è questo il modo di gestire il lavoro delle persone e soprattutto farle crescere professionalmente. “Ghe pensi mi” non è un buon metodo di gestire un team: inizia a sviluppare fiducia nei confronti delle tue risorse. Controllerai dopo il lavoro e darai un feedback (vedi sopra) di miglioramento nel caso abbiano sbagliato qualcosa. E sì, la responsabilità è tua!
  • Saper monitorare. Anche il controllare il lavoro va saputo fare, perché se ogni 5 minuti chiedi “Cosa stai facendo” e “A che punto sei” non stai aiutando il tuo collaboratore a lavorare bene, ma stai facendo pressione che si può ripercuotere negativamente sul lavoro.
  • Gestire il tempo e l’agenda. Monitorare i progetti e il tempo non solo tuo, ma anche dei tuoi, saper fissare dei punti di verifica, creare momenti condivisi o meno. Sull’agenda leggi qui.
  • Saperti dare degli obiettivi SMART. Il che vuol dire, come saprai dall’ampia letteratura, che devono essere misurabili, temporalizzati, realistici ecc e che devi saper coinvolgere anche i tuoi collaboratori nell’aiutarti a raggiungerli.

In effetti sono tante le sfide, e sono sicura che saprai affrontarle con determinazione e strategia!

 

Se stai per fare questo tipo di cambiamento, guarda qui il mio percorso.

Se sei a Milano ad Aprile tengo due workshop su “Fare Networking

Come gestire l’agenda e vivere felici

Vuoi avere successo nel tuo lavoro? Saper gestire efficacemente i tuoi impegni è fondamentale

Il tempo è la nostra vita, non è solo denaro, per parafrasare il famoso detto. Come scegli di impegnarlo è quindi fondamentale.

La vita professionale non prescinde da questo, anzi la gestione efficace della nostra agenda è alla base dell’equilibrio lavoro/vita personale, che perseguiamo in tanti.

Con gestire l’agenda intendo tutta la sfera della pratica dell’incastro dei vari impegni e del nostro planning di breve, medio e lungo periodo.

È importante soprattutto per un libero professionista, un imprenditore, ma anche per chi lavora come dipendente o manager.

“Il modo in cui impieghiamo le giornate è, naturalmente, il modo in cui trascorriamo la vita.”

ANNIE DILLARD

Siamo sempre così bravi a dare la giusta importanza a tutti gli impegni, le attività che svolgiamo al lavoro e anche al tempo libero? E soprattutto a rispettarli senza troppi stress?

Perché è importante gestire bene l’agenda?

Se hai un’agenda a prova di bomba (imprevisti a parte ovviamente) eviti di sprecare tempo e sei più efficace nel tuo lavoro, anche dal punto di vista emozionale e dello stress, come ti avevo già raccontato nel mio post che parlava di “ansia da lavoro”.

La perfezione non esiste, ma possiamo sempre migliorare.

Primo: dare le priorità

Quando metti in agenda un impegno sacrificandone un altro, stai facendo una scelta di importanza o di urgenza.

O meglio: dovrebbero essere queste le variabili che ti guidano.

  • Importante e urgente: da mettere in agenda al più presto possibile
  • Importante e non urgente: stabilire (comunque subito) una data comoda nelle prossime settimane
  • Non importante ma urgente: secondo la matrice di Eisenhower la dovresti delegare. Quindi pensaci prima di metterla in agenda
  • Non importante e non urgente: sei sicuro che vuoi occupare il tuo spazio per questo?

Se cancelli un impegno per un altro, il discorso è lo stesso, ma ricordati che quando stai facendo il pacco dall’altra parte c’è una persona che ti aveva allocato il tempo e fermato la sua agenda, rinunciando magari a sua volta ad un altro impegno, magari con un cliente.

Non fare all’agenda degli altri quello che non vorresti fosse fatto alla tua.

Apri l’agenda!

Uno dei motivi per cui si ha un’agenda incasinata, si dimenticano gli impegni, sovrapponendoli uno all’altro è proprio che non ti segni tutti gli impegni subito e non lo fai nello stesso posto!

Quindi:

  • Segna subito gli impegni appena sai la data di un evento o definisci un appuntamento
  • Non rimandare dicendo “no dai sentiamoci poi ora sono troppo incasinato” e lo sarai sempre! Vedi sopra lo schema di urgenza e importanza. Lo stesso se sono gli altri a dirtelo. Non procrastinare, poi ti incasini di più!
  • Chi arriva prima lo fa” quando si lavora in team, non è un buon modo di gestire l’agenda, va a finire che in due state facendo la stessa cosa. Segnarsi chi fa cosa e quando è più efficace per l’agenda del team. Urgenze a parte, ovviamente.

Strumenti

La Moleskine è bella, ma non sempre funzionale.

Io sono per il supporto tecnologico.

Cosa uso io?

  • Uso le app “Calendario” di IOS ma principalmente “PocketLife”che è perfettamente integrato con diversi calendari, tra cui Google Calendar che puoi guardare anche da PC e condividere i calendari dei tuoi colleghi. E posso segnare i vari impegni con i diversi colori!
  • Per il resto (i dipendenti) c’è Outlook: è sempre una garanzia.

Prendere l’appuntamento

“Puoi giovedì alle 15:07 oppure venerdì alle 9:35?”

“No, potrei venerdì alle 13:20”

”Non posso io. Settimana prossima?”

Alzi la mano chi non ha avuto uno scambio di messaggi o di mail del genere per prendere un appuntamento perdendo tempo e fatica.

Da quando ho scoperto Calendly non posso più farne senza!

Si sincronizza con la tua agenda (Google, Outlook, iOS, ecc) e mandando il link la persona può vedere quando sei libero e prendersi l’appuntamento. E si segna automaticamente sulla tua agenda senza che tu faccia nulla!

Per il resto c’è sempre Outlook che quando stai organizzando una riunione o mandando un’invitation ti fa vedere il calendario dei tuoi colleghi e collaboratori senza mandare 10 mail.

Come organizzare gli impegni

Alcuni suggerimenti:

  • Quando hai un impegno con altre persone manda l’invito in modo che appaia nel suo calendario o che riceva una mail con l’evento che dovrà accettare e per cui gli arriverà anche l’alert.
  • Ricordati di considerare gli spostamenti e gli inconvenienti aggiungendo dei margini di sicurezza tra un impegno e l’altro.
  • Segnati gli impegni ricorrenti. Ci sono impegni che si ripetono periodicamente: usa nel calendario l’opzione “ripeti” in modo che automaticamente sia presente in tutte le occorrenze. Io per esempio so che tutte le settimane il mercoledì alle 7:30 ho la colazione di lavoro BNI. Ai tempi di Eurizon Capital tra colleghi c’era l’evento “mandare le quote a X” tutti i giovedì alle 13:00.
  • Metti gli alert! A meno che non guardi l’agenda continuamente ti conviene mettere gli avvisi (una suoneria o una mail) in modo da organizzarti o muoverti per tempo.
  • Segnati a calendario il tempo per i tuoi lavori. Quando stai seguendo un progetto e sai che gli dedichi 2 ore ogni volta il pomeriggio, che dalle 9:00 alle 10:00 sbrighi le mail, e alle 10:30 fai girare una specifica procedura. Così difendi il tuo spazio dai colleghi e clienti che ti vedono occupato sull’agenda. Io lo faccio per scrivere, per studiare.
  • Prendi un appuntamento anche per le telefonate. A meno che non sia un tuo amico o un familiare la telefonata va pianificata.
  • Segnati anche gli impegni della tua vita personale. Che sia lo sport, un aperitivo con gli amici

Difendere la propria agenda

Anche se la tua agenda è impeccabile, oltre ai possibili “pacchi” last minute, è importante anche saperla difendere dagli attacchi di quegli esseri che definiamo “disturbatori”.

Arrivano di persona o tramite whatsapp, mail e telefonate a cercare di distrarti e a invadere il tuo tempo, magari è il collega che vuole raccontarti dell’ultimo gossip aziendale o per parlarti di un nuovo lavoro, proprio in quel momento in cui stavi quagliando.

  • Mettiti in modalità “non disturbare” sui tuoi device e chiudi la posta. La mia collega Paola si metteva “impegnato” sulla chat aziendale: funzionava, non la disturbavi!
  • Se proprio fionda qualcuno di persona o ti chiama all’improvviso, ricontratta il tempo e chiedendo di mandarti una mail o di parlarne più tardi davanti ad un caffè.

Tu come organizzi i tuoi impegni? Che modalità adotti?

Vuoi migliorare il tuo modo di gestire l’agenda?

Prenditi un appuntamento con Calendly e ne parliamo!

https://calendly.com/cristianamelis/30min

 

Networking di successo? Prima regola: crea fiducia

Se vuoi essere un networker di successo devi costruire dei rapporti basati sulla fiducia.

Uno dei capisaldi che mi guida nella mia vita professionale, e privata ovviamente, è il valore della relazione ed è per questo che ritengo il networking fondamentale.

Il networking, ne sono convinta, è una scienza esatta: se segui alcune regole e ti poni con apertura e sincerità hai un grande ritorno e crei valore.

Affinché tu diventi un bravo networker una delle cose da cui non puoi prescindere è la costruzione di rapporti basati sulla fiducia reciproca.

La scoperta dell’acqua calda, insomma. Alla base della fiducia c’è il rispetto e la conoscenza della persona, ma ci sono delle regole da seguire o comunque delle attenzioni che se disattese possono comunque portare a ledere il rapporto.

Un esempio

Premesso che nessuno è perfetto, neanche io, ti faccio un esempio di “vita vissuta”.

Ovviamente capita a tutti di ricevere decine, centinaia di mail al giorno, rispondere a tutti spesso diventa un’ardua impresa, ma un piccolo sforzo è necessario.

Invito, mandando i dettagli via mail dopo aver invitato a voce, delle persone che conosco bene e con i quali ho una relazione ad un evento per una presentazione di un’opportunità di business. C’era anche l’aperitivo offerto, quindi la possibilità di fare networking con lo Spritz in mano, con tutti i vantaggi che ti ho elencato nel mio post.

Ecco dei comportamenti che ritengo essere lesivi del rapporto di fiducia o comunque non incoraggianti per future collaborazioni (leggi: non ti invito più e probabilmente neanche ad altre iniziative):

  • Non rispondere alla mail di invito e sparire in stile Houdini
  • Rispondere un’ora prima dell’evento (se va bene) dicendo che non vieni o che vedi più tardi se ne avrai voglia
  • Dopo che hai dato conferma, disdici la tua presenza all’ultimo momento adducendo motivi lavorativi (invece l’evento al quale ti avevo invitato cos’era?)
  • Non ti palesi anche se hai detto che saresti venuto e sparisci (Houdini 2 la vendetta)

Ovviamente la voce “imprevisti non rimandabili” non è in elenco.

Ma come si costruisce la fiducia?

Ci vuole del tempo per costruire la fiducia, per risultare credibili e due secondi per distruggere tutto.

Ovviamente citato fuori lista c’è il rispetto dell’altro, che reputo necessario e imprescindibile. Anche la gentilezza, valori che ultimamente vedo spesso disattesi, soprattutto online.

Ho individuato 7 punti:

  1. Fai quello che dici. Questo è alla base della credibilità e affidabilità di una persona: se prometti qualcosa cerca di mantenere la parola data, poi recuperare è in salita, te lo garantisco. Tornando all’esempio di prima: dici che vieni e poi fai come Houdini. Un messaggio o una mail proponendo un nuovo incontro è il minimo che si possa fare.
  2. Concedi tu fiducia per primo. Si commenta da sola, vero?
  3. Poniti con apertura, sincerità, curiosità. E ascolta! Una relazione si crea ascoltando più che parlando, non dare niente per scontato e mostra curiosità verso l’altro (che è diversa dall’invadenza). Abbiamo sempre da imparare da tutti.
  4. Dedica tempo e impegno. Si, ci vogliono tempo e dedizione per costruire relazioni, fa parte anche questo del tuo lavoro. Io per esempio, segno nella mia App agenda il tempo per il networking con il blu, e oltre a incontri ricorrenti, tipo il capitolo BNI, ho almeno 2 incontri a settimana.
  5. Dai prima di ricevere. Questa è la regola aurea del networking, e quindi del creare fiducia. Dai senza aspettare niente in cambio. Un esempio? Penso a quante volte, nella Rete al Femminile Milano o nel BB Club ci scambiamo pareri professionali tra di noi, oltre a darci supporto, senza alcun doppio fine. E PS, si facciamo anche business tra di noi!
  6. Non ti vendi al network ma attraverso il network. L’atteggiamento da piazzista a tutti i costi e di vendita spinta, anche se sei in un ambito business, non è premiante. Anzi. Prima crea la relazione e ricordati che spesso i tuoi clienti arrivano da relazioni di II o III livello.
  7. Presenza e non fare la bella statuina. Nel senso di costanza e di partecipazione: se ti palesi una volta su 10, continui a rimandare e posdatare, o se vieni e fai tappezzeria non parlando con nessuno il risultato non sarà molto apprezzabile Lo stesso si può dire anche online, come ad esempio su LinkedIn non interagisci con la tua rete, non commenti o condividi e non rispondi ai messaggi. Che ci stai a fare?

Questi quelli che sono venuti in mente a me.

Ne hai altri in mente e li vuoi condividere con me? Lascia un commento o mandami un messaggio!

IL VIAGGIO VERSO L’OBIETTIVO

Tempo di buoni propositi e nuovi obiettivi. Ma l’obiettivo non è solo il fine del percorso che facciamo, ma soprattutto un mezzo per il nostro cambiamento.

È gennaio, un anno nuovo ci attende, ci sentiamo rinnovati e pieni di nuove possibilità. Quindi è il momento di buoni propositi, mettere nuovi (o vecchi!) obiettivi ed è un pullulare di liste, parole dell’anno e tutto quello che in generale ci consente di programmare i prossimi mesi.

Porsi degli obiettivi precisi, temporizzati, concreti è importante, anzi fondamentale.

Questo vuol dire prender i fantastici buoni propositi e trasformarli in obiettivi precisi, si spera realistici, quindi focalizzarli nel concreto, dargli una scadenza e fare un piano d’azione.

Ma lo sai cos’è la cosa più importante di porsi un obiettivo?

Raggiungerlo? Si, certo.

Ma ancora più importante, sul quale mi voglio focalizzare qui, è il percorso che fai per raggiungerlo, un vero viaggio di scoperta e trasformazione di te stesso. È il cambiamento che fai per arrivarci che è la cosa più importante.

In questo senso l’obiettivo è allo stesso tempo il fine e il mezzo per la tua crescita personale, un vero pretesto per il cambiamento.

Ed è proprio quello che si fa con un percorso di coaching.

Decidi le tappe del tuo viaggio

Quando spiego ai miei clienti come si articola un percorso di coaching uso spesso la metafora del viaggio.

Definire l’obiettivo vuol dire decidere dove vuoi andare, in quale direzione: è diverso andare a Roma o Lugano. Anche perché se non sai dove vuoi andare come fai a capire quando sei arrivato?

Una volta decisa la destinazione devi anche decidere quanto tempo ci vuoi mettere, di conseguenza anche che mezzo di trasporto usare.

Il viaggio, a volte, può essere non essere facile: quali risorse ho, oppure quali mi servono o devo sviluppare per arrivarci? Spesso non è come ce lo aspettiamo, spesso crediamo di prendere il freccia rossa e invece ci troviamo in macchina, fermi in coda in autostrada, o scopriamo di poter prendere l’aereo. Sperando di non prendere la bicicletta!

Poi ci possono essere delle deviazioni rispetto alla meta, anche prese consapevolmente: anche se quella deviazione ti allontana dalla strada principale e rallenta il tuo viaggio, visitare quel bel paesino lontano dall’autostrada può avere un significato importante per te.

E dopo il viaggio?

Il viaggio, è sempre un momento di trasformazione e di scoperta, una volta che lo intraprendi non sei più lo stesso. Questo accade anche grazie ad un percorso di coaching.

Cosa succede durante il viaggio?

  • Si verifica un cambiamento. il coaching è lo strumento principe del cambiamento, si fa un percorso per gestirlo o per provocarlo. Ad esempio, riprogrammare il proprio obiettivo professionale. In ogni caso, per arrivarci spesso devi cambiare: nuovi comportamenti, nuove strategie, buttare vecchie abitudini o aprirsi a nuove prospettive.
  • Prendi consapevolezza di te stesso e scopri le tue risorse. Il coach ti aiuta a scandagliare te stesso, mettere nero su bianco le tue capacità e spesso scopri risorse nuove e inaspettate che tu stesso non eri stato in grado di vedere. In questo modo vai rafforzare ciò che c’è già e a migliorare i tuoi punti deboli.
  • Prendi decisioni. Che tu debba decidere dove vuoi arrivare, come arrivarci, quali azioni intraprendere, su cosa vuoi focalizzarti, non puoi scampare, sarai di fronte a continue scelte (o non scelte, il che è sempre una scelta!)
  • Scopri nuove opzioni. Spesso ti troverai davanti ad un bivio o semplicemente davanti alla decisione di continuare su una strada, magari la vecchia (quella che già conosci) per intraprenderne una nuova, e magari anche a contemplare una terza, una quarta.
  • Esplorerai nuovi “territori”. Faccio delle domande la cui risposta spesso è “Bella domanda! Non ci avevo mai pensato”. Ecco, quella è una domanda potente, che apre nuovi scenari e nuove scoperte, una strada nuova che non avevi pensato di percorrere.
  • Incrementi la fiducia in te stesso. Quando persegui un obiettivo, sei “costretto” a creare il tuo piano d’azione e ad agire appunto! Altrimenti cosa racconti al tuo coach nella sessione successiva? E mano a mano che pianifichi e agisci ti scopri capace di fare, ottenere dei risultati e ti stimoli ad andare avanti in un meccanismo virtuoso che accresce la fiducia in te stesso.
  • Impari a focalizzarti sulle soluzioni invece che sui problemi. Com’è liberatorio parlare dei tuoi problemi con il coach, vero? Verissimo, io sono qui per ascoltarti, per farti osservare la situazioni da molte angolazioni, ma anche per farti focalizzare sulle soluzioni, cioè sul “cosa farai tu per risolvere la questione”. Ti ascolto nel mentre che mi dici che il percorso è lungo ed è accidentato, ma ti accompagno anche a trovare nuovi percorsi o a trovare un modo per “guadare il fiume”.

Che momento magico quello in cui ti accorgi che hai raggiunto l’obiettivo!

Come quando alla fine del viaggio, ti guardi indietro e ti sorprendi di tutti i chilometri che hai percorso e di quanto ti senti arricchito.

IL TUO REDDITO RISPECCHIA IL TUO VALORE?

Siamo ciò che pensiamo: l’idea che abbiamo di noi, del nostro valore, le convinzioni su noi stessi influiscono sulla nostra vita, anche su quella “economica”. La storia di Alessandro

“Il nostro reddito non potrà mai superare quell’idea che abbiamo di noi”.

Questa una frase pronunciata da Robin Sharma durante il suo speech ad un evento di formazione di Performance Strategies, “La nuova Leadership”.

È un’affermazione un po’ forte e un po’ provocatoria forse. Almeno io inizialmente sono rimasta un po’ colpita.

Però pensandoci bene, anche se un po’ forte, magari a te appare banale, se unisci tutti i puntini torna tutto.

Magari ti stai dicendo “che stai a dì”, ma non mi ero mai soffermata su questa connessione diretta tra quanto possiamo essere pagati e la percezione che abbiamo di noi stessi, quindi del nostro valore.

Non sto dicendo che se sei un disoccupato o non hai un reddito non vali nulla, come non era questo l’intento della frase di Sharma. Provo a spiegarmi meglio.

Le nostre convinzioni guidano le nostre azioni

Noi siamo ciò che pensiamo. Questo vuol dire che l’idea che abbiamo di noi, del nostro valore, le convinzioni su noi stessi (a volte autolimitanti), influiscono sulla nostra vita, anche su quella “economica”.

È il tuo pensiero che crea la tua realtà” – Robin Sharma

Le nostre convinzioni diventano reali, nel senso che muovono le nostre azioni, e le nostre azioni diventano comportamenti e noi diventiamo i nostri comportamenti.

Henry Ford, nella sua famosissima citazione, diceva appunto “Che tu creda di farcela o di non farcela avrai comunque ragione”.

Perché? Se le convinzioni su te stesso che ti sei creato, ti fanno pensare che sia impossibile fare una cosa, tu non agirai mai affinché quella cosa diventi vera. Questo ovviamente è un meccanismo che lavora spesso a livello inconscio, ma che si può far emergere e cambiare.

Di conseguenza, se noi (inconsciamente o meno) pensiamo di valere poco, di non essere all’altezza, come facciamo a compiere azioni tali per guadagnare di più, per chiedere un aumento di stipendio, o per proporci ad un’azienda di un certo tipo per fare un salto nella nostra carriera?

È ancora più vero per un libero professionista, che pone da sé il proprio listino prezzi e se non si riconosce il proprio valore, quello che porta con il proprio lavoro, rischia di non sapersi far apprezzare (e pagare di conseguenza) per il valore aggiunto che porta.

Le nostre convinzioni sono legate all’idea che abbiamo di noi, e soprattutto alla fiducia che abbiamo in noi stessi.

Ho ripensato al bellissimo percorso di coaching di Alessandro, che avevo seguito nel primo anno da coach certificata.

La storia di Alessandro

Alessandro lavorava in un piccolo distaccamento della management company di una banca italiana in Lussemburgo, dopo un’esperienza in una importante Società di Gestione del Risparmio in Italia a Milano.

Aveva fatto questo cambiamento proprio per portare avanti la sua carriera che finora era andata a rilento, in un’azienda molto strutturata e poco dinamica, salvo poi trovarsi nella stessa situazione nella nuova posizione.

Era stato assunto in un ruolo di referente con la responsabilità di una funzione, gli avevano appena assegnato anche un’altra mansione.

Quando abbiamo cominciato non si riconosceva neanche il nuovo ruolo nella firma digitale della mail e non aveva richiesto, come gli era stato suggerito da un senior, di aggiornare il biglietto da visita di conseguenza.

Alessandro ha iniziato il percorso con me perché voleva gestire il cambiamento di maggiori responsabilità, migliorare il rapporto con le persone in azienda, in particolare con un senior, che pur non essendoci un riporto gerarchico o funzionale lo trattava come un sottoposto o gli chiedeva di fare dei lavori per lui.

Sentiva poi la mancanza di un mentore che lo guidasse, e non si sentiva riconosciuto anche dai colleghi a causa della sua giovane età.

Buttarsi da un trampolino sempre più alto

Abbiamo lavorato su queste tematiche andando anche ad agire sulla fiducia in sé stesso, che era ovviamente intersecata con tutto e il nodo della situazione.

Ogni volta che, con l’azione, si spingeva più in là verso l’obiettivo, cresceva anche la fiducia in se stesso, usava la metafora del “buttarsi da un trampolino sempre più alto“.

Fino a che, raggiunto il suo primo obiettivo, si è sentito pronto per affrontare il mercato esterno, verso un’altra posizione che gli permettesse di imparare cose nuove e anche di avere una retribuzione più alta.

E “saltando da un trampolino sempre più alto” alla fine ha trovato un nuovo lavoro, in una prestigiosa banca svizzera. Con uno stipendio raddoppiato e con un nuovo ruolo che andava a soddisfare il suo obiettivo professionale.

Non è una questione di fortuna. Alessandro ce l’ha fatta perché era fiducioso nelle sue capacità e ha avuto la voglia di mettersi in gioco per uscire dalla sua zona di confort e sfidare le convinzioni che lo limitavano e non gli facevano credere che avrebbe potuto ambire a qualcosa di più.

Senti anche tu che le tue convinzioni ti stanno limitando nel fare carriera o nel farti riconoscere anche economicamente il tuo valore?

Contattami, valuteremo insieme, senza impegno, se (e in che modo) posso esserti di aiuto e quale percorso è più adatto per te.

Settembre è vicino ormai, se stai pensando di porti nuovi obiettivi  o verificare a che punto sei con quelli posti ad inizio anno, questo è un buon momento.

SCRIVI:: cmelis@coachingpower.it

VISITA:: https://www.coachingpower.it/lavora-con-me/

VUOI TROVARE LAVORO? ESCI A BERE UNO SPRITZ

Se vuoi avere successo nel lavoro devi dedicare del tempo ad incontrare le persone dal vivo. Con un bicchiere in mano, spesso, viene meglio!

Hai capito bene: se vuoi trovare lavoro, cambiare azienda, o allargare il tuo business, devi uscire di più e incontrare persone che condividono con te gli stessi interessi professionali. Coltivare relazioni.

Sei appiccicato al PC e stai cercando lavoro, dannandoti per capire a chi mandare il tuo CV, a che azienda proporre i tuoi servizi, e a che santo appellarti?

Magari fai anche errori grossolani, tipo scrivere facendo un copia e incolla a tutti i contatti o sbagliando nome della persona a cui stai scrivendo (caso osservato in natura: scrivere “Gentile Dottoressa” ad un recruiter uomo).

Ti stai scervellando sul tuo business plan o sul tuo planning e non ti vengono idee su come trovare nuovi clienti?

PRIMA di arrivare a situazioni come quelle sopra, quindi ridurti a mandare solamente CV e mail “a freddo” o di fare spam ai tuoi contatti LinkedIn inizia ad uscire ed incontrare le persone anche dal vivo, per rafforzare e curare le relazioni che hai già costruito o per instaurarne di nuove.

Non ti sto incitando a cazzeggiare, ma suggerendo un modo per aprirti a nuove soluzioni, idee, e ispirazioni.

Per raggiungere il successo professionale sicuramente ci vuole un bel piano d’azione, ma un ingrediente che sta alla base della ricetta, sia che tu lavori in azienda, o sia libero professionista, un imprenditore, è costruirsi e coltivare una rete che ti sostenga e ti aiuti.

Questo si chiama networking signori miei, e secondo me, è una scienza esatta!

Incontrare le persone dal vivo

Dell’importanza di fare networking ti ho già parlato, oggi voglio sottolineare dell’importanza di incontrare le persone dal vivo, che sia per un pranzo, per un caffè o uno Spritz. Un’occasione un po’ informale per costruire o cementare una relazione.

È la fase diciamo conclusiva del networking online, fatto bene ovviamente. La fase online è sicuramente importante, come chiedere nuovi contatti su LinkedIn, individuare convegni o eventi del tuo settore per incontrare persone nuove e interessanti.

È importante anche dedicare tempo alle conoscenze che abbiamo da tempo, proprio perché le relazioni vanno coltivate con costanza.

Non aspettare di essere sotto scadenza con il tuo contratto, di essere stufo della tua azienda, o di rimanere a casa dopo una ristrutturazione aziendale per mettere mano alla tua agenda di contatti.

Prendi la tua lista contatti e organizza un incontro con un tuo collega, con qualcuno con cui hai delle affinità professionali o con un tuo contatto LinkedIn interessante.

Persone che condividano con te qualcosa della tua professione, o facciano parte di un qualche tuo giro, qualcuno che “ti capisca” insomma.

Si, ma che vantaggi ho?

Puoi pensare che sia tempo perso dedicarti a costruire e curare relazioni professionali, ma è un guadagno per tanti motivi:

  • Condivisione di informazioni e news del tuo settore professionale. Anche se al momento non stai cercando un nuovo posto di lavoro (o clienti), ti aiuta a migliorare nella tua professione. Se per esempio stai seguendo un importante progetto nella tua azienda, possono venirti nuove idee o strategie, anche solo raccontandolo ad un’altra persona.
  • Condivisione di soluzioni/nuove idee. C’è sempre da imparare dagli altri e da farsi ispirare. Come gli altri posso imparare da te. Dal racconto del percorso lavorativo dell’altro possono arrivarti molti spunti: come ha fatto ad ottenere quel colloquio con quella persona importante; quali sono le mosse giuste per arrivare a posizioni di importanza in azienda; cosa ha scritto nel suo profilo LinkedIn che ha riscosso successo con alcuni head hunter; come cura il proprio web marketing.
  • Hai dei feedback sul tuo percorso professionale. Il confronto può aiutarti a verificare se le azioni che hai messo in pratica finora tu sono vincenti o no. Ad esempio se il tuo profilo LinkedIn è scritto bene, se per ottenere il posto che desideri devi integrare con qualche specializzazione, se i recruiter che stai contattando e la modalità sono giuste.
  • Non ti senti solo. Trovare persone che condividono con te le stesse problematiche ti fa trovare uno spazio dove ci sono tuoi “alleati”.
  • È solo incontrando le persone dal vivo che capisci se c’è feeling. Non c’è niente di male, possiamo essere più affini, professionalmente parlando, ad alcune persone rispetto ad altre. Per il nostro business è importante circondarci e collaborare con persone con cui ci sia affinità
  • È un momento di “self-care”. Relazionarsi con altre persone è comunque un momento di spazio che dedichiamo a noi stessi e che può essere rigenerante, molto piacevole o anche divertente!

Io nel giro di qualche giorno ho incontrato tre fantastiche donne che come me fanno parte del Boutique Business Club; pranzato con un’amica coach; incontrato tanti colleghi coach al “Get together” un evento formativo organizzato dalla Coaching & Coaching, la scuola con cui mi sono certificata.

Risultato: ho focalizzato meglio nuove idee di offerta e di strategie; un feedback positivo su alcune cose che ho messo in campo (continua così!); condivisione di problematiche comuni, abbiamo trovato delle soluzioni e nuovi spunti ascoltando le altre; ci siamo anche divertiti!

Il giusto atteggiamento

Per costruire delle relazioni è importante l’atteggiamento.

Prima di tutto, quando si fa networking è importante porsi con lo spirito del “dare”, non pensando solo a cosa questa persona può fare per noi.

Fondamentale essere sinceri e aperti, porsi con positività e curiosità verso l’altro, oltre ad ascoltare attentamente. Se non siete sinceramente interessati all’altro, ma vi ponete solo con l’ottica di chi vuole “prendere” senza dare, le altre persone lo capiranno, anche a livello inconscio.

È faticoso? Si, lo è! Ci vuole tempo, pazienza e dedizione, ma ne vale la pena.

Non aspettare di essere in una “posizione di bisogno e di urgenza”, costruisci e cura la tua rete di contatti e fanne un tuo stile di vita professionale!

POSSO DARTI UN FEEDBACK?

Il feedback è uno degli strumenti di comunicazione più preziosi per un leader, come nel team e con i clienti. NON è un consiglio, un parere o un giudizio. Lo sai dare in maniera corretta?

“Posso darti un feedback?” è una domanda che pongo spesso come coach.

Nel coaching si chiede il permesso perché il coachee potrebbe non essere pronto a riceverlo. In azienda e nel campo professionale, può succedere di darlo (e allo stesso modo lo riceviamo) senza tanti preamboli, o senza strutturarlo bene, e rischiamo di non ottenere l’effetto che desideriamo, facendolo diventare un boomerang.

Dare un feedback efficace non è semplice, dovrebbe essere pensato in modo tale per cui il messaggio arrivi in maniera corretta, perché è il modo in cui diciamo le cose più del contenuto che determina il successo o meno della comunicazione.

Ma cos’è il feedback?

Feedback in italiano si traduce come “riscontro, verifica, confronto”, ma è ormai un termine di uso comune nel campo professionale.

Contraddistingue una comunicazione verso un’altra persona (o un gruppo) dove facciamo delle osservazioni costruttive circa un suo comportamento, lo svolgimento di un compito o mansione.

Nel coaching il feedback è un “regalo”, qualcosa che il coach vede, attraverso l’osservazione di comportamenti o fatti concreti, e vuole restituirlo al suo cliente per aiutarlo ad allargare la sua visione o farlo crescere, sostenerlo nel fare un passo avanti verso l’obiettivo; ma può essere anche un riconoscimento, un input per farlo riflettere sul percorso che ha fatto.

Oltre ad essere uno strumento importante e prezioso nel coaching, allo stesso modo, lo è nella vita professionale. Quasi tutti i giorni ricevi dei feedback dal tuo capo e dai tuoi colleghi, tu lo dai al capo e ai tuoi colleghi, i clienti non fanno altro che “regalarteli”, e viceversa.

L’anno scorso all’evento “I 4 pilastri della Leadership” di Performance Strategies 3 relatori su 4 (Daniel Goleman, Dan Peterson e Giuseppe Vercelli, per intenderci) parlando di come dovrebbe agire buon Leader si sono soffermati a parlare anche del feedback.

Il feedback positivo, questo sconosciuto

Mi è capitato di leggere recentemente degli articoli sui benefici del feedback e di rimanere stupita dal fatto che si soffermasse solo sul feedback di miglioramento, quello negativo per intenderci, dove fai osservare solo i comportamenti che non vanno bene o sono appunto migliorabili.

Questo riflette un po’ la tendenza nel mondo aziendale, ma oserei dire anche nell’ambito personale, a concentrarsi su quello che non va, e di non rilevare ciò che va molto bene!

Il feedback di riconoscimento, o feedback positivo, si dà quando si riconosce una qualità positiva all’altro o lo incoraggia, indicando che quella è la direzione giusta.

È un ottimo modo per creare fiducia, spirito di collaborazione e squadra, di rafforzare una relazione, oltre ad essere utile per chi lo riceve in termini pratici (“finalmente sono riuscito a far bene quel report” “ora ho capito bene cosa voleva il mio capo”) sia perché la persona si sente riconosciuta per quello che fa.

Quindi abbondate di feedback positivi! Provate a prendere l’abitudine di darne almeno un paio al giorno.

Per un feedback perfetto!

Quindi qualche regola/suggerimento per dare un feedback efficace.

  • Il feedback si basa sull’osservazione e la rilevazione dei comportamenti e fatti concreti deve essere il più possibile oggettivo, concreto e specifico, come per esempio lo sforamento delle tempistiche, dei dati non corretti, una tabella poco chiara, la mancata applicazione di una procedura. Usa parole tipo “ho osservato, ho rilevato che..”
  • Chiediti innanzitutto se è utile e a chi: che obiettivo vuoi raggiungere con la tua comunicazione? Portare avanti il progetto, correggere un comportamento di un collaboratore, migliorare l’efficienza di una procedura, creare maggiore spirito collaborativo o di squadra, motivare un collega.
  • Il feedback non è un consiglio o un parere, deve essere il più possibile neutrale
  • Non è un giudizio. Non dare giudizi sulla persona “Tu sei così”, ma riferisciti ai comportamenti, soprattutto non usare parole tipo mai o sempre. Cerca l’apertura facendo domande. Ad esempio “ultimamente sei sempre in ritardo!” ma piuttosto “ho notato che ultimamente arrivi in ufficio più tardi del solito, c’è qualcosa che non va?”
  • È un’occasione di crescita sia per chi lo riceve che per chi lo dà.
  • In generale, sii più abbondate con i feedback di riconoscimento.
  • Prima del feedback di miglioramento, cerca di inserire sempre quello positivo (si, c’è qualcosa di positivo che puoi dire! trovalo).
  • Il feedback negativo va dato in privato, mai davanti a tutti o i colleghi perché risulterebbe umiliante e probabilmente otterresti l’esatto effetto contrario.
  • Può sembrare banale, ma non lo è: gestisci le tue emozioni e cerca di essere il più possibile calmo. Se alzi la voce o sei troppo “ruvido” probabilmente non verrai ascoltato.
  • Dai il feedback nel giusto contesto. Non aspettare troppo a fare quelle osservazioni o quel complimento, spesso è meglio affrontare subito le situazioni o sfruttarle per dare la giusta direzione alla squadra o al progetto.
  • Dopo aver dato il feedback chiedere alla persona cosa ne pensa di quello che hai appena detto, servirà ad aprire il dialogo e il confronto.

Hai anche tu delle tecniche per dare i feedback? Vuoi condividerle con me?

Se vuoi migliorare la tua tecnica nel dare i feedback o la tua comunicazione, scrivimi all’indirizzo cmelis@coachingpower.it per fare una chiacchierata senza impegno: troveremo la soluzione giusta per te!

 

 

A CHE PUNTO SEI? RIFLESSIONI PER LE VACANZE

Una riflessione sui tuoi obiettivi dell’anno e un esercizio per aiutarti a visualizzare dove sei per ripartire di slancio a settembre

È luglio, e ormai pensi solo alle vacanze, lo so.
È comunque un buon momento per fare il punto della situazione su come stanno andando gli obiettivi scritti a gennaio, quelli che ti sei posto quando ti sei ripromesso che questo era l’anno della svolta per la tua carriera o del tuo business.

Intendo cose tipo l’aumento di stipendio o la promozione, una nuova responsabilità, cambiare azienda o un progetto da guidare, un nuovo obiettivo di budget molto sfidante.

Mettersi degli obiettivi non è semplice, ma ancora meno lo è stendere un piano d’azione con una strategia ben precisa, progettare delle azioni concrete da compiere, e sopratutto metterle in pratica!

Ma spesso sei preso da mille impegni, pensieri e rischi di perderti per strada. Può succedere che a metà anno, e oltre, hai fatto la metà (se va bene) di quello che ti eri riproposto di fare, o comunque hai bisogno di focalizzare di nuovo cosa è importante fare da settembre in poi.

Per questo ti propongo una serie di riflessioni da fare anche sotto l’ombrellone, o quando di sei stancato di giocare a PokemonGo, per ripartire alla grande a settembre più focalizzato e consapevole. Li puoi fare quando vuoi, anche al ritorno dalle vacanze!

Hai già raggiunto il tuo obiettivo o hai fatto tutti i compiti? Fantastico! Puoi ugualmente rispondere alle domande per mettere meglio in luce le azioni che hai fatto e utilizzare di nuovo la stessa strategia per il futuro, fare delle riflessioni su come impostare il lavoro. O metterti un altro obiettivo, ovviamente!

Riprendi i tuoi obiettivi in mano

Riprendi i tuoi obiettivi (li hai scritti, vero? Carta e penna intendo… altrimenti scrivili ora) e rispondi a queste domande per verificare a che punto sei, riflettere su cosa hai fatto e cos’altro c’è da fare, o se forse devi cambiare strada.
Ti propongo una serie di domande che ti può aiutare a focalizzare meglio, scrivi su carta le risposte, è molto più potente!

  • Riscrivi il tuo obiettivo in maniera sintetica
  • Da 1 a 10, quanto ti sei avvicinato al tuo obiettivo?
  • Cosa ha funzionato?
  • Rispetto a quello che ha funzionato, come potresti utilizzarlo di nuovo in futuro?
  • Cosa poteva funzionare meglio?
  • C’è qualcosa che avevi programmato di fare e non hai fatto?
  • Cosa ti ha impedito di compiere quelle azioni?
  • Cosa hai trovato facile fare?
  • Quali sono state le difficoltà che hai incontrato nel porre in atto le azioni che ti eri prefisso?
  • Quanto sei ancora motivato a raggiungere il tuo obiettivo da 1 a 10? quanto ti senti coinvolto?
  • Dopo queste considerazioni, riscrivi il tuo obiettivo (se è necessario)
  • Scrivi il primo passo che farai da oggi verso il tuo obiettivo
  • E ora il secondo passo che farai da settembre!
  • C’è qualcosa che ti può impedire di agire?

Se ti va condividi pure con me il risultato delle tue riflessioni, possiamo lavorarci insieme!

Scrivimi una mail all’indirizzo cmelis@coachingpower.it possiamo valutare insieme come impostare il lavoro da settembre.