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ASCOLTARE PER COMUNICARE EFFICACEMENTE

Se vuoi mettere una marcia in più nella comunicazione con i tuoi clienti, colleghi e nel networking, devi lavorare sull’ascoltare attivamente

La prima regola della comunicazione dice “è impossibile non comunicare”, questo vuol dire che in realtà diciamo qualcosa anche quando stiamo in silenzio o mostriamo indifferenza, come ci muoviamo, le espressioni del nostro viso.

È quindi importante stare attenti al tono della voce che utilizziamo, alle parole che scegliamo, come le diciamo, lo sappiamo bene perché hai già fatto l’ennesimo corso di comunicazione efficace e sei scrupoloso nel prepararti il discorso sul magnifico servizio o prodotto da sottoporre al tuo cliente, o hai già una fantastica presentazione da fare al tuo capo, imparata a memoria.

E il tuo elevator pitch per il networking è magnifico, ovviamente!

La verità è che saper parlare in pubblico ed esporre un progetto è importante, ma uno dei segreti per avere una vera comunicazione efficace è ascoltare, e farlo in maniera attiva.

“L’incapacità dell’uomo di comunicare è il risultato della sua incapacità di ascoltare davvero ciò che viene detto.”

Carl Rogers

Quando ci mettiamo in relazione con una persona, la nostra comunicazione deve essere rivolta proprio a lei, che ci sta di fronte in quel momento, e l’unico modo per farlo è ascoltarla, con le sue esigenze, con il suo modo di essere, insomma dobbiamo conoscerla.

Se davvero vogliamo supportare il nostro cliente, dobbiamo capire quali sono le sue esigenze.

Per sapere quali sono le criticità del progetto che ci sta esponendo il nostro capo, dobbiamo ascoltarlo.

Per un leader poi, è fondamentale esercitarsi nell’ascolto attivo, perché solo da questo può nascere un feedback ben dato, di miglioramento o di riconoscimento che sia.

Cos’è l’ascolto attivo

L’ascolto attivo nasce da un porre l’attenzione non solo su quello che la persona dice, ma soprattutto su quello che non dice, perché, come suggerisce la prima regola della comunicazione appena citata, comunichiamo con tutto il corpo, il tono della voce, ma anche con i nostri comportamenti, ciò che facciamo, e anche che non facciamo.

Quindi il centro dell’attenzione si sposta da noi verso un altro.

Quante volte qualcuno ci sta parlando e stiamo pensando già a cosa ribattere, per spiegare le nostre idee, o alla lista della spesa, o ancora peggio, abbiamo il cellulare in mano dando una letta alle mail o a Whatsapp?

Non stiamo davvero ascoltando!

Come puoi fare per ascoltare meglio? Ascolto attivo, si, ma come?

Ti fornisco un paio di suggerimenti, non esaustivi, di come si può allenare l’ascolto attivo.

Si, è proprio un allenamento, più lo fai e più diventi bravo.

Innanzi tutto, cerca di entrare in empatia con la persona, cioè cerca di capire che emozioni sta provando, di metterti al suo posto, e di rispondere adeguatamente.

Questo lo puoi ottenere cercando un punto in comune, trova una frase per rompere il ghiaccio, chiedigli come sta la sua famiglia, osserva il suo ufficio, o qualcosa di lui. Qualcosa che faccia capire che ti interessi a lui. Fai tante domande

Alcuni suggerimenti quando stai per iniziare un colloquio:

  • Accoglilo e dimostra sincero interesse per lui. Se sei disinteressato o non stai ascoltando, probabilmente, anche se fai di tutto per nasconderlo, la persona se ne accorgerà.
  • Cerca di non giudicare o di non partire con dei pregiudizi
  • Svuota la mente prima di cominciare. Anche se ti è appena arrivata una mail sgradevole, o hai preso una multa, o hai un guaio da gestire, cerca di non pensarci in quel momento e di rimandare questi pensieri a dopo. Focalizzati sull’incontro
  • Non interrompere un flusso di pensiero. Non pensare alle possibili risposte non appena ti sta parlando, magari prendi una nota se hai delle domande da fare dopo, per poi riprenderla quando dovrai parlare tu
  • Fai tante domande. Ricordi? Sei lì per capire le esigenze di quella persona o per conoscerla
  • Guardalo negli occhi, ovviamente, e fai attenzione al linguaggio del corpo
  • Ascolta le tue sensazioni quando parli con lui

Ti viene in mente qualche altra “regola” per ascoltare bene? Sarò contenta se la vorrai condividere con me!

Ti lascio un esercizio: osserva due persone che parlano, e focalizzati sui loro comportamenti, sul tono di voce, sulle espressioni del volto, sui gesti che fanno, chiediti quali sensazioni stanno provando e quali provi tu come ascoltatore.

Poi chiediti e risponditi (alla Marzullo): Sono un buon ascoltatore?

Se vuoi condividi con me i tuoi risultati lasciando un commento, sarò felice di leggerlo!

LA VERITÀ, VI PREGO, SULL’INTELLIGENZA EMOTIVA

Lavorare sull’Intelligenza Emotiva vuol dire incrementare la propria performance personale. Ti spiego perché è importante per il nostro successo professionale

Nel mio precedente post ho già parlato di cosa è l’Intelligenza Emotiva: la capacità di comprendere le proprie e altrui emozioni e gestirle, riuscire ad avere relazioni interpersonali soddisfacenti, darsi degli obiettivi importanti.

Ma a cosa mi serve?

Vi è capitato di chiedervi come mai persone che sono molto intelligenti (cioè hanno un alto QI) sembrano avere meno successo o addirittura falliscono rispetto chi ha un QI più basso?

Penso al compagno di classe bravissimo in matematica e in fisica, ma che spesso stava solo o era silenzioso, parlava con pochi e alla fine non ha fatto carriera o comunque non come ci si aspettava da lui.

Poi c’era il compagno di banco che non brillava di certo per intelligenza, però era il tipico compagnone, che invece è diventato il responsabile commerciale per quella grande multinazionale.

Nel lavoro, sicuramente ha più probabilità di avere successo chi ha delle competenze tecniche più sviluppate di altri, e un QI maggiore. Ma spesso non è proprio così scontato, anzi, l’intelligenza analitica da sola non basta.

Le competenze tecniche ovviamente servono, ma da sole non sono sufficienti a farci avere successo nella vita. Ricerche mostrano che il 55% circa dei fattori di successo di una persona, quindi la sua performance personale, dipendono dall’Intelligenza emotiva.

Te lo spiego con un film: The imitation game

Faccio sempre l’esempio del il film “The Imitation Game”: la storia di Alan Turing, un matematico e critto-analista che aiuta il governo inglese durante la seconda guerra mondiale a decifrare i codici con cui i tedeschi si mandavano informazioni sugli attacchi. Un genio! Stiamo parlando della persona che inventò il computer come lo conosciamo ora, una persona con il QI elevatissimo. Bene, è proprio l’esempio calzante di una persona che ha un altissimo QI ma ha poca Intelligenza Emotiva.

Infatti, la macchina che creò (la macchina di Turing) fu utile solo grazie all’interazione con gli altri membri del team, che prima aveva snobbato. Turing si mise in gioco e sforzandosi di cambiare il comportamento sprezzante e non empatico nei confronti degli altri.

Creare relazioni di fiducia

Nella vita professionale questo è alla base. Che tu lavori in team, che tu sia un commerciale, o un libero professionista, un imprenditore, un leader, non puoi prescindere dal creare relazioni efficaci, basate sulla fiducia. Come si fa? Sviluppando l’empatia, cioè la capacità di capire gli altri, imparerai ad ascoltare in maniera più attiva i tuoi clienti, collaboratori, colleghi e anche il tuo lavoro migliorerà, garantito.

Leader o capo?

La differenza che passa tra un leader e un capo è data proprio dall’Intelligenza Emotiva.

Competenze emotive come autocontrollo, capacità di automotivarsi, entusiasmo, empatia, perseveranza, risolvere i conflitti e cooperare sono tutte abilità di una leadership illuminata.

Un buon leader, infatti, riesce grazie all’empatia a capire quali leve muovere con i suoi collaboratori per raggiungere gli obiettivi comuni; ispira gli altri grazie alla sua motivazione e vision, che trasmette a chi lo circonda.

Pensate a quanto tempo passa un manager a pianificare e gestire il lavoro e quanto invece nel cercare di risolvere conflitti o gestire incomprensioni.

Gestire le emozioni nel business

Quando poi le cose non vanno bene, come in questo periodo storico economicamente complicato, una persona emotivamente intelligente è chi riesce a perseverare nei propri obiettivi nonostante le frustrazioni, a trovare nuove via d’uscita e ad aver fiducia nelle proprie capacità.

Ma soprattutto, quando le emozioni hanno il sopravvento (nel bene e nel male) e non sappiamo gestirle, il QI ci può venire ben poco in aiuto.

Mi viene in mente il caso delle turbolenze dei mercati finanziari: quando il mercato crolla razionalmente sarebbe il caso di non uscire dalla posizione e casomai comprare, o far valutare la posizione, invece il panico innesta un’ondata di vendite che altro non fa che peggiorare la situazione.

Decidere

Quando dobbiamo prendere una decisione, per esempio, è fondamentale ascoltare le nostre sensazioni, e di conseguenza, quello che le nostre emozioni ci stanno dicendo. Se ho un peso allo stomaco e al petto nel mentre che penso ad una possibile soluzione, probabilmente quella non è la strada più efficace da prendere per la nostra vita.

Non c’è contrapposizione, come si può credere, tra emozioni e razionalità, non è vero che l’emozione è debolezza e la razionalità è sinonimo di forza, ma è vero che le due cose devono coesistere, integrarsi e interagire tra loro.

Essere emotivamente intelligenti è insomma molto importante per la nostra performance personale.

Lo sai che si può anche misurare e capire su quali competenze emotive lavorare per raggiungere i tuoi obiettivi? Dai un’occhiata al percorso “Power Coaching e Intelligenza Emotiva

Dubbi? Curiosità? Feedback? Scrivimi! cmelis@coachingpower.it

EMOTIONAL INTELLIGENCE WEEK: Modello IE Competenza 1

L’Emotional Intelligence Week è una settimana da me dedicata all’approfondimento dell’intelligenza Emotiva per diffondere i concetti fondamentali e spiegare l’importanza di allenarla per la nostra vita

L’Intelligenza Emotiva sarà nel 2020 al 6° posto tra le 10 competenze più richieste sul lavoro (fonte: Future of Jobs Report, World Economic Forum).

Si parla sempre più spesso di Intelligenza Emotiva, così come cresce l’attenzione nel mondo del lavoro verso le cosiddette “competenze soft”, e credo che sia necessario diffonderne la conoscenza.

Quando mi presento come coach specializzata in particolare sulle tematiche dell’Intelligenza Emotiva spesso mi sento dire “Bello! Ma cos’è esattamente?”

Da qui l’idea  dell’Emotional Intelligence Week: dedicare una settimana ai temi riguardanti questa materia di cui sono appassionata, chiarendo di cosa si tratta, chi è una persona emotivamente intelligente e perché è così importante svilupparla.

Cos’è l’Intelligenza Emotiva?

L’Intelligenza Emotiva (IE o QE quoziente emotivo) è l’abilità di utilizzare le emozioni in maniera efficace.

L’intelligenza Emotiva è la capacità di saper comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui, saper creare relazioni efficaci tramite l’empatia, conoscere e portare avanti i propri obiettivi e valori.

 

Riguarda la comprensione di noi stessi, dei nostri umori e sentimenti, dei nostri obiettivi, e capacità di automotivarci e gestire i nostri stati mentali ed emotivi anche quando siamo sotto stress; la comprensione degli altri e dei loro sentimenti e la capacità di rapportarci con loro in modo efficace.

L’intelligenza emotiva è un insieme di competenze che ci permette di integrare la parte razionale del nostro cervello con quella emozionale.

Non è certamente un sostituto dell’intelligenza tradizionale, non rimpiazza le competenze tecniche specifiche, ma può fornire una serie di abilità che, se le alleniamo, ci aiutano nella comprensione e gestione delle emozioni. Se sappiamo essere coscienti delle emozioni, e le integriamo con la nostra parte razionale, aumenteremo la conoscenza di noi stessi, le nostra capacità relazionali e di raggiungere gli obiettivi.

Al contrario del QI che non cambia, l’IE si può migliorare, non rappresenta un fattore determinato geneticamente, basta allenarsi!

Essere emotivamente intelligenti ci aiuta a gestire al meglio la nostra vita privata, il lavoro e più in generale i rapporti con gli altri.

Per i bambini un importante risultato dell’IE è instaurare amicizie più forti e ottenere voti migliori.

Per gli adulti le abilità dell’IE sono fondamentali per la leadership, il team work, il customer care, le relazioni personali e per la salute.

Sull’importanza dell’IE ci tornerò più avanti, tratterò le singole competenze con abbinati degli esercizi.

Le competenze dell’Intelligenza Emotiva

In concreto, quali sono le competenze che rappresentano l’IE?

Il modello che seguo (anche come assessor) e che presento è quello di Six Seconds, la prima e più grande organizzazione internazionale dedicata al 100% allo sviluppo dell’IE.

Il modello SEI (Six Seconds Emotional Intelligence) si divide in tre aree e 8 competenze:

  • SELF AWARENESS – Consapevolezza di sé
  • Comprendere le Emozioni
  • Riconoscere i Sentieri Emozionali     

    SEI_Modello

    Modello Intelligenza Emotiva Six Seconds

 

  • SELF MANAGEMENT – Gestione di sé
  • Utilizzare il Pensiero Sequenziale
  • Navigare le Emozioni
  • Trovare la Motivazione Intrinseca
  • Esercitare l’Ottimismo

 

  • SELF DIRECTION – perseguimento degli obiettivi eccellenti ed empatia
  • Far Crescere l’Empatia
  • Perseguire Obiettivi Eccellenti

 

COMPETENZA 1: COMPRENDERE LE EMOZIONI

La prima competenza fa parte della prima area: SELF AWARENESS, Consapevolezza di sé.

Le competenze che riguardano quest’area rispondono alla domanda: Cosa sto provando?

Più precisamente consistono nella comprensione delle emozioni e il riconoscimento degli schemi mentali. Questo vuol dire notare con precisione cosa senti e fai, quindi ci aiuta a conoscerci meglio riconoscendo i nostri modelli tipici di reazione, capire cosa ci fa “scattare”.

Generalmente proviamo diverse emozioni contemporaneamente, ma è difficile riuscire a identificarle tutte.

Perché è così importante capire che emozione o che schema mentale stiamo applicando?

Lo sai che quando prendiamo una decisione questa è influenzata per oltre l’80% dalla spinta emozionale? Se non sei consapevole di quali emozioni stai provando, come fai a prendere una decisione efficace?

  • COMPRENDERE LE EMOZIONI – CE: capacità di identificare accuratamente l’emozione che si prova, sapere dare un nome.

Questa competenza ci aiuta a classificare le emozioni complesse, a darle un nome, e iniziare a capire le loro cause ed effetti. Non è spesso facile decifrare i sentimenti, ma cercare di percepire e interpretare l’informazione emotiva è fondamentale per usare, comprendere e gestire le spinte emotive.

Se siamo in grado di individuare le nostre emozioni, riusciremo più facilmente a comprendere con efficacia anche le emozioni e le reazioni delle persone che abbiamo di fronte, quando abbiamo una discussione o quando stiamo negoziando, per esempio.

La persona con cui ci relazioniamo percepisce il nostro stato d’animo non solo per quello che diciamo, ma anche per il nostro comportamento e se siamo poco consapevoli di come ci sentiamo possiamo apparire incoerenti o dissonanti.

Miglioramento: CONCRETO – difficilmente sanno dare un nome (o anche notare) ai propri sentimenti. Possono trovare i sentimenti travolgenti e irrazionali. Preferiscono una visione analitica delle emozioni.

Esperto: EMOTIVO – Ha un ricco vocabolario emozionale, forte intuizione. Riesce facilmente ad esprimere le sue emozioni.

E ora procurati un “quaderno delle emozioni”, iniziano gli esercizi dell’Emotional Intelligence Week!

ESERCIZIO

Pensa una situazione un po’ “critica e difficile”, che stai vivendo o recente (una decisione importante, una consegna importante sul lavoro ad esempio), pensa all’emozione che hai sentito e prova a darle un nome e definire l’intensità. Ricorda poi il contesto e la situazione che ha suscitato tale emozione:

  • Quali sensazioni fisiche hai percepito? Sai localizzarle nel tuo corpo? Ti senti teso?
  • Hai pensato a qualcosa in particolare? (che questa emozione vi imbarazzasse, che vi facesse stare bene, ecc?)
  • Questa emozione ha generato un impulso ad agire, a comportarti in un certo modo?
  • Si è manifestata sul vostro volto? Se si in che modo?

Appunta sul tuo quaderno:

Sensazioni: (es. peso sullo stomaco o sul petto, caldo, freddo, aumento del battito cardiaco.. )

Pensieri: (es. dico a me stesso che “non ce la farò mai”, “sono il peggiore del mio team”)

Impulsi: (es. ho voglia di abbandonare il progetto)

Espressione del viso: (es. Sento la mascella contratta, rossore in viso)

Emozione: (es. provo ansia)

 

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IL RISCHIO È IL MIO MESTIERE

Il rischio viene inteso solo in senso negativo, la possibilità di perdere o fallire, ma in finanza il concetto di rischio è anche positivo, perché c’è anche la possibilità di avere successo. La mia storia

Spesso leggo storie di persone che si sono messe in gioco, amici, conoscenti, che hanno incrociato la mia strada in qualche modo, e che vantano una “propensione al rischio”, nel linguaggio economico – finanziario.

Persone che hanno cambiato lavoro, si sono messe in proprio, hanno cambiato paese, si sono reinventate, hanno iniziato da zero e hanno avuto successo, tutte con il comune denominatore del seguire la propria passione, rischiando, e che hanno capito presto o tardi quali fossero i propri talenti e potenzialità.

Dove il talento è qualcosa che ci viene facile fare e che ci rende felici, per cui proviamo una passione tale per cui lo faremmo anche senza essere pagati.

Sono storie di persone comuni, non di milionari (per ora almeno!). Ma sono allo stesso modo straordinarie perché seguire i propri sogni e passioni è coraggioso.

Nel mio piccolo, anche io mi sono messa in gioco, questa è la mia storia.

In che senso “rischio”?

Il concetto di rischio è costante nella mia vita. Fino a tre mesi fa lavoravo nel Risk Management di una Società di Gestione del Risparmio, quindi il rischio era il mio mestiere.

E lo è tuttora, nel mio piccolo, visto che mi sono messa in proprio con un lavoro che mi fa prendere una strada nuova e molto diversa, per seguire la mia passione e perché, ebbene sì, è rischioso.

Di solito il rischio viene inteso solo in senso negativo, la possibilità di perdere o fallire, ma in finanza il concetto di rischio è anche positivo, perché c’è anche la possibilità di avere successo! D’altra parte il teorema rischio-rendimento recitaad un maggior rischio corrisponde un maggior guadagno”.

E no, mi spiace, non esistono investimenti con rischio nullo, perché è rischioso anche tenere i soldi sotto al materasso (c’è la svalutazione, ricordi?) o a continuare ad andare avanti nella vita senza darsi degli obiettivi.

Questa è la mia storia, ci metto la faccia, anche se la mia storia finisce con un inizio…

Dalla finanza al coaching

In me sono sempre convissute due anime, due polarità: la passione per i numeri (ero brava in matematica e mi riusciva semplice, ok odiatemi!) e la mia tendenza all’introspezione, all’amore per la lettura, la riflessione.

Avevo scelto ragioneria perché volevo lavorare in banca, non chiedetemi perché avessi questa aspirazione, non lo ricordo. Credo di essere stata l’unica che all’esame di maturità ha portato come materie a piacere Tecnica bancaria (imperterrita!) e Italiano, scegliendo Pirandello, che adoro tuttora.

Con una certa lungimiranza, mi sono iscritta a Scienze Economiche e Bancarie a Siena. Il che ha determinato due cose:

•l’abbandono della Sardegna a 19 anni, il giorno del mio compleanno, con un po’ di sana incoscienza ma per cui ringrazio tanto. E il conseguente ritiro da parte di mio padre dell’immaginario passaporto sardo, visto che per lui ora sono continentale.

•L’evidenza che le mie due anime iniziavano a cozzare l’un l’altra.

Ci ho messo un po’ a laurearmi, perché comunque ero sempre combattuta chiedendomi se era la strada giusta per me, ma alla fine, avendo deciso, ho raggiunto il mio obiettivo.

Il passo successivo? Si sa che “sbagliare” è umano ma perseverare è diabolico, mi sono trasferita a Milano nel 2003 per seguire un master in Risk management per gli intermediari finanziari, perseguendo la strada della banca e della finanza.

Ho trovato lavoro proprio nel Risk Management di una Società di Gestione del Risparmio, dove sono stata per 11 anni.

Nel 2011, nel bel mezzo di un percorso interiore iniziato alla ricerca della vera me stessa, incontro il coaching offrendomi per fare da “cavia” a Elisabetta che allora stava facendo un corso per certificarsi come coach professionista.

Grazie ad un percorso come coachee, lavorando su obiettivi relativi alla mia professione, ho iniziato un viaggio di riscoperta di me stessa, delle mie capacità e risorse, e ho focalizzato meglio i miei desideri e attitudini.

Ho messo così il primo seme per iniziare a dare risposta alle mie domande e ad ascoltare l’altra parte di me stessa (quella riflessiva) e a chiedermi quali fossero i miei altri talenti finora non sfruttati.

Questa riflessione mi ha portato ad iscrivermi al corso per diventare una coach professionista, dando inizio a 3 anni in cui ho portato avanti entrambi i miei lavori, con molta fatica, e la mia tendenza si è spostata sempre più verso il mio essere coach, aiutandomi ad esprimere finalmente la mia naturale attitudine ad essere “umanamente curiosa” e ad allenare quella parte di me aperta all’ascolto e all’accoglienza.

Dopo un percorso un po’ travagliato, fatto di valutazioni, domande, riflessioni, ascolto di me stessa e anche di calcoli economici (la tendenza non si cambia mai del tutto), mi sono dimessa a dicembre 2015.

Da poco più di tre mesi sono una coach al 100% e mi sto sperimentando nel trovare un nuovo equilibrio, testando le gioie e i dolori di essere libera professionista.

Certo la storia non termina con una fine da milionaria, in realtà termina con un inizio, di una nuova avventura.

È un po’ presto per fare bilanci, ma il mio successo, il significato che ha per me questa parola, sta proprio nel fare un lavoro che amo e che mi appassiona al 100%. Anche se un po’ mi mancano i miei colleghi.

Che risorse ho messo in gioco?

Non è stato facile e posso dire che il mio percorso è stato costellato di molti bellissimi e importanti incontri, con persone che mi hanno incoraggiato e sostenuto.

Il networking è stato fondamentale!

Anche se la maggior parte delle persone ha cercato di farmi cambiare idea o mi faceva terrorismo circa la crisi, il rischio e compagnia bella. Loro sono stati ancora più importanti per far emergere la mia motivazione.

Mi è stata utile la capacità di darmi grandi obiettivi, di allineare i miei valori con le mie scelte di vita e con il lavoro che faccio, ascoltare le mie emozioni e la mia motivazione interiore; la capacità di inventare nuove strategie in caso di insuccesso, senza arrendermi.

E questo è solo l’inizio.

Tu hai mai pensato di metterti in gioco? Se vuoi raccontamelo nei commenti o scrivimi cmelis@coachingpower.it

Se vuoi guarda il mio profilo LinkedIn e chiedimi la connessione, magari con un messaggio personalizzato 😉

Vuoi migliorare la tua carriera? Fai Networking

Uno degli strumenti fondamentali per il successo professionale è crearsi una rete di connessioni che possa esserci di sostegno, per farci conoscere come professionisti e per offrirci strumenti utili per la nostra crescita

Nei tempi della interconnessione virtuale dei social, costruirsi un solido network è più che mai essenziale per il proprio successo professionale, sia per imprenditori e liberi professionisti, ma anche per un manager o chi lavora in azienda.

Una fitta rete di relazioni, attentamente cucite e scelte ci aiuta a costruire una chiara identità professionale e allo stesso tempo è lo specchio della nostra credibilità come professionisti e persone.

Se prima i luoghi di aggregazione erano solo fisici, come convegni di settore, occasioni più informali come eventi, aperitivi – ad esempio il fuori salone del risparmio per il settore bancario/finanziario – ora il network si inizia a costruire online, partendo dai social (LinkedIn e Facebook in primis), siti, riviste e giornali del settore di attività che ci interessa.

Molto spesso possiamo incontrare persone interessanti e stimolanti anche al di fuori da ambienti strettamente legati al mondo del lavoro, come in palestra, o al circolo del golf, dove il punto di unione è un’attività ricreativa.

Perché fare Networking?

In che modo il network ci aiuta a migliorare la nostra crescita professionale?

Contrariamente a quanto si possa credere, il network non serve solamente per “vendersi” in senso stretto, cioè trovare clienti o qualcuno che ci sponsorizzi per una posizione in una grande azienda, ma è fonte di molte opportunità.

È un’occasione per uscire dal proprio guscio e mettersi in gioco. Il networking infatti non è solo ricevere ma soprattutto dare, trarre e fornire ispirazione, trovare collaborazioni e conoscere le persone che possono aiutarti, nella professione ma non solo.

L’elenco che segue, non esaustivo, è fonte della mia personale esperienza, online e offline, con associazioni come la Rete al Femminile (network di donne imprenditrici e libere professioniste), o l’International Coach Federation (associazione di coach più diffusa a livello internazionale) o in spazi di coworking come Copernico, per citare le più importanti.

  • Cambiare azienda o espandere il proprio business. Che tu sia un dipendente o un libero professionista, è il network la risposta per crescere nella tua carriera. Mandare un CV a freddo è diverso da avere una segnalazione da una persona che ti stima professionalmente, e comunque puoi venire a conoscenza di offerte di lavoro che non vengono pubblicizzate su internet e sui vari canali. Anche la chiamata a freddo per cercare nuovi clienti è meno efficace rispetto ad essere introdotti da un tuo contatto.
  • Il network è un’opportunità di confronto. Incontrare, conoscere o seguire sui social persone che lavorano nel tuo stesso settore (o in quello in cui vorresti cambiare) o che hanno le stesse problematiche, è un’occasione per condividere esperienze, conoscenza, articoli e analisi, scambiare pareri o consigli professionali. Importante per conoscere le nuove tendenze, eventi, spazi e attori del settore. Se ti stai lanciando in un nuovo business è fondamentale!
  • Avrai sempre dei supporter. Questo è particolarmente vero quando stai affrontando un grosso cambiamento lavorativo, avere un gruppo di supporter, che crede in te, ti sostiene nei momenti difficili e ti incoraggia a fare quel salto che magari loro stessi hanno già fatto. Per me è stato fondamentale quando ho fatto il grande salto da “bancaria dipendente” a coach freelance.
  • Trovare nuove collaborazioni e sinergie. Possono nascere nuovi progetti o nuove opportunità anche da persone che operano in ambiti diversi o simili al nostro. Se devo lanciare il mio sito, magari mi affiderò più volentieri a quella sviluppatrice web tanto simpatica e disponibile che ho conosciuto nella Rete al Femminile piuttosto che ad uno sconosciuto che ha preferito parlare al telefono 10 minuti e mandarmi un freddo preventivo, invece che incontrarmi per discuterne davanti ad un caffè.
  • Condivisione di passioni,obiettivi e valori. Si crea un ambiente protetto dove poter liberamente condividere le nostre passioni e obiettivi, dove ci sentiamo capiti, accolti e stimolati.
  • Trovare fonte di ispirazione. Ascoltare le storie di chi “ce l’ha fatta” e ha avuto successo nella vita o di chi ha affrontato un periodo difficile e si è rimesso in gioco è fonte di ispirazione, come all’evento con le donne del network internazionale Hub Dot  a cui ho partecipato qualche settimana fa.
  • Fonte di creatività. Spesso, il confrontarsi e dialogare con persone nuove ci apre a idee innovative e alla creatività. Spesso racconto dei miei progetti o del mio lavoro a persone appena conosciute e il beneficio è di scoprire nuove sfaccettature o avere un’illuminazione proprio nel mentre che ne parlo.
  • Costruirsi un’identità chiara. Avere l’occasione di scambiare le proprie idee, passioni, e mostrare la propria personalità ci consente di presentarci con un’identità più definita di come farebbe il miglior summary ben scritto su LinkedIn. Un eventuale cliente o un manager che sta cercando una risorsa per la sua squadra magari sceglierà più volentieri di lavorare con una persona che risulta più trasparente e che apprezza anche per la sua immagine e personalità.

Scegliere e orientarsi in mezzo a infinite possibilità, non è semplice e sicuramente bisogna porsi degli obiettivi precisi e usare molti accorgimenti, perché anche il networking alla fine è un’arte e, come tale, ognuno deve trovare il suo personale stile di networker.

Qual è il beneficio personale che trovi tu nella tua rete?

Buon networking!