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Il coaching come modello di leadership

In un contesto economico e sociale sempre più complesso e variabile, dove si delineano nuovi modelli organizzativi più orizzontali e partecipativi, in che modo il coaching può essere adottato come approccio e modello di leadership?

Riporto il mio articolo scritto per gli amici di HEI – Human Experience Insights apparso per la prima volta sul loro sito.

In un momento in cui la parola “coach” è sempre più abusata, è importante fare chiarezza su cosa è il coaching professionale e in che modo può contribuire a creare nuovi approcci alla leadership organizzativa.

Mai come ora siamo stati di fronte ad un contesto economico e sociale in continua evoluzione, sempre più complesso. Cambiamenti improvvisi e impattanti fanno sì che le aziende siano chiamate ad adattarsi a nuovi scenari per sopravvivere o mantenere inalterata la produttività, agendo sui modelli organizzativi e culturali che siano anche sostenibili. Siamo di fronte a grandi sfide che, però, ci offrono grandi opportunità per apportare un cambiamento effettivo verso una visione umano-centrica delle organizzazioni che finalmente sia agita e non solo teorizzata.

Si parla di VUCA world (Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous) proprio per definire un ambiente complesso in cui i cambiamenti si susseguono in modo sempre più repentino e imprevedibile, rendendo più difficile e faticoso il continuo adattarsi agli eventi, alle situazioni, ai processi.

Ormai è necessario non solo essere in grado di stare dietro ai cambiamenti, ma, inoltre, cercare di anticiparli.

È emblematica, in tal senso, l’affermazione di Kalus Schwab, Fondatore e Presidente del World Economic Forum: “In futuro, non sarà il pesce grande a mangiare il pesce piccolo. Sarà il pesce veloce a mangiare quello più lento”.

La rivoluzione digitalee l’adozione dell’intelligenza artificiale, infatti, rendono velocemente obsoleti processi e procedure, e costringono persone e aziende a ricercare e sviluppare nuove competenze sia hard che soft.

L’avanzare della tecnologia e dell’AI, se da un lato appare minaccioso– operando una distruzione e un ricambio delle competenze richieste per la professione – dall’altra, suggerisce di puntare proprio sulle capacità relazionali-emotive, non sostituibili dalle macchine.

Nuovi modelli organizzativi

Oltre a questo, ci troviamo di fronte ad un cambiamento nelle organizzazioni, sia strutturale che generazionale.

teamsono sempre più “virtuali”, anche grazie al crescente utilizzo dello smart working, e si rende necessario ripensare il lavoro in gruppo e in sinergia, creare il coinvolgimento e soprattutto il senso di appartenenza all’azienda. Il modello verticale basato sul controllo del lavoro, infatti, inizia a mostrare i suoi segni di debolezza.

Entro il 2020, inoltre, i Millennials– che presentano caratteristiche molto diverse rispetto alle generazioni precedenti – costituiranno il 50% della forza lavoro. Secondo una ricerca di durata pluriennale condotta da Deloitte, questi ultimi apprezzano uno stile di leadership aperto, trasparente e collaborativo, ambiscono ad ottenere una qualità più alta del loro tempo libero, maggiore flessibilità e coinvolgimento, ma anche a dare più “senso” a quello che fanno.

A ciò si aggiunge il fallimento di organizzazioni di tipo verticale, altamente burocratizzate, e il delinearsi di altri modelli organizzativi più orizzontali e partecipativi, che favoriscono una leadership diffusa – in alcuni contesti si parla anche di andare verso organizzazioni leaderless.

Che tipo di leadership si potrebbe sviluppare?

Queste dinamiche così delineate suggeriscono quindi un cambio di paradigma verso un approccio di leadership più partecipativo, che abbandoni le strette verticalizzazioni gerarchiche e che passi da una logica di controllo ad una più orientata all’obiettivo, al coinvolgimento delle persone e, soprattutto, alla loro crescita personale e professionale, puntando sul potenziamento delle proprie capacità. In sostanza, un leader che cerchi di spogliarsi dei panni del “capo” per indossare quelli del coach, favorendo così un cambiamento culturale all’interno dell’azienda.

Cos’è il coaching?

Secondo la definizione dell’International Coach Federation (ICF)

il coaching è una partnership con i clienti che attraverso un processo creativo stimola la riflessione ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale

L’accento è sulla partnership, quindi sulla creazione di una relazione win-win, dove il risultato desiderato è proprio il processo di sviluppo e potenziamento delle persone, non il raggiungimento dell’obiettivo come fine a sé stesso. La parola “obiettivo” non è contenuta nella definizione, in quanto il risultato non è strettamente il fine ultimo del coaching ma il mezzo per favorire l’accelerazione nel raggiungerlo, sebbene non esista un processo di coaching senza un obiettivo prefissato e misurabile.

Un approccio di leadership che integri delle competenze di coaching è quindi volto a creare uno spazio di riflessione strategico ed evolutivoin risposta alla necessità di flessibilità, che allena il saper leggere e affrontare il cambiamento, per capire dove si sta andando e allenare le competenze necessarie ad affrontare le continue evoluzioni.

Quali sono le competenze per sviluppare una leadership “più coaching”?

Di seguito una serie di competenze che possono rendere un leader “più coach”, che si richiamano alle 8 competenze chiave nel coaching secondo ICF:

  • Stabilire gli obiettivi

Come un coach, il leader accompagna i suoi collaboratori a fissare gli obiettivi e a identificare le azioni per raggiungerli, facendo emergere le soluzioni e non imponendole dall’alto, creando momenti di apprendimento per il singolo e il team. Lavorare per obiettivi consente di sfuggire alla logica di controllo, agevolare una maggiore partecipazione ai processi decisionali e coinvolgere le persone, facilitando il monitoraggio basato sui risultati raggiunti piuttosto che sulle attività svolte.

  • Ascolto attivo

L’ascolto in questo tipo di approccio è attivo, nel senso che si basa sull’apertura all’altro, è un sentire autentico e privo di giudizio; solo in questo modo si è in grado di ascoltare davvero qualcuno in maniera empatica ed efficace.

Proprio come nel coaching, il leader domanda e ascolta, favorendo la riflessione. La domanda, infatti, è lo strumento principe del coaching. Una domanda apre all’altro scenari che prima non aveva visto o considerato.

È il dialogo, fatto di domande e risposte, che aiuta l’altro a ricercare e a mettere in luce la sua soluzione o un comportamento non più efficace che non aveva ancora focalizzato. In questo senso il coaching è maieutico: fa emergere le soluzioni semplicemente accompagnando l’altro verso una migliore visuale della situazione, in maniera autonoma, per conoscere meglio sé stessi.

Il coach non dà consigli proprio per questo: non impone la sua verità. Il leader coach, in sostanza, non impone soluzioni ma le fa emergere dal contesto, favorendo l’autonomia e l’assunzione di responsabilità in un’ottica di partnership collaborativa.

  • Facilitare un clima di Fiducia

La relazione di coaching si basa sulla reciproca fiducia e capacità di creare un ambiente sicuro e di supporto che genera continuo rispetto reciproco. Il leader coach sviluppa relazioni di fiducia partendo dall’ascolto attivo e dalle domande, creando i presupposti per coinvolgere le persone negli obiettivi aziendali, creando un ambiente dove i collaboratori si sentano rispettati e in grado anche di sentirsi liberi di esprimersi in un conflitto costruttivo che apra al confronto e a soluzioni creative e innovative, senza paura di ripercussioni per essersi esposti.

Come ci insegna anche Stephen M.R. Covey, la fiducia è la prima competenza della leadership che si può apprendere e allenare, oltre ad essere un driver economico che accelera i risultati economici e di performance del team. Senza fiducia, infatti, non esiste la capacità di delega, un altro strumento importante per il leader che guida le persone attraverso il raggiungimento degli obiettivi.

  • Dare feedback costruttivi

Il coach utilizza anche la comunicazione diretta e specialmente lo strumento del feedback come momento di crescita e sviluppo dell’altro e della relazione. In un’ottica coaching, il feedback non è un giudizio o un parere, ma si basa su fatti e comportamenti effettivamente agiti e osservati, e soprattutto è un regalo che viene fatto all’altro per il suo apprendimento. In questo senso si può creare una cultura del feedback per un impatto positivo sulle persone, non riducendo i momenti di confronto alle occasioni istituzionali come la restituzione della performance, ma creando degli spazi di incontro e scambio al fine di una reciproca crescita, collaborazione e fiducia.

Il coaching come approccio sistemico

In sintesi, lo stimolo che vorrei portare è di considerare un approccio coaching alla leadership pensandolo come sistemico, dove al centro sia riposta la crescita delle persone come veicolo dello sviluppo dell’organizzazione stessa. Questo vuol dire che affinché le aziende cambino l’approccio culturale e organizzativo bisogna andare ben oltre la formazione di pochi singoli leader.

Come sostenuto da Richard Buckminster Fuller, “non si cambiano mai le cose combattendo contro la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, bisogna costruire un modello nuovo che renda obsoleto quello vecchio”.

Per approfondire leggi le mie pagine dedicate al coaching

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POSSO DARTI UN FEEDBACK?

Il feedback è uno degli strumenti di comunicazione più preziosi per un leader, come nel team e con i clienti. NON è un consiglio, un parere o un giudizio. Lo sai dare in maniera corretta?

“Posso darti un feedback?” è una domanda che pongo spesso come coach.

Nel coaching si chiede il permesso perché il coachee potrebbe non essere pronto a riceverlo. In azienda e nel campo professionale, può succedere di darlo (e allo stesso modo lo riceviamo) senza tanti preamboli, o senza strutturarlo bene, e rischiamo di non ottenere l’effetto che desideriamo, facendolo diventare un boomerang.

Dare un feedback efficace non è semplice, dovrebbe essere pensato in modo tale per cui il messaggio arrivi in maniera corretta, perché è il modo in cui diciamo le cose più del contenuto che determina il successo o meno della comunicazione.

Ma cos’è il feedback?

Feedback in italiano si traduce come “riscontro, verifica, confronto”, ma è ormai un termine di uso comune nel campo professionale.

Contraddistingue una comunicazione verso un’altra persona (o un gruppo) dove facciamo delle osservazioni costruttive circa un suo comportamento, lo svolgimento di un compito o mansione.

Nel coaching il feedback è un “regalo”, qualcosa che il coach vede, attraverso l’osservazione di comportamenti o fatti concreti, e vuole restituirlo al suo cliente per aiutarlo ad allargare la sua visione o farlo crescere, sostenerlo nel fare un passo avanti verso l’obiettivo; ma può essere anche un riconoscimento, un input per farlo riflettere sul percorso che ha fatto.

Oltre ad essere uno strumento importante e prezioso nel coaching, allo stesso modo, lo è nella vita professionale. Quasi tutti i giorni ricevi dei feedback dal tuo capo e dai tuoi colleghi, tu lo dai al capo e ai tuoi colleghi, i clienti non fanno altro che “regalarteli”, e viceversa.

L’anno scorso all’evento “I 4 pilastri della Leadership” di Performance Strategies 3 relatori su 4 (Daniel Goleman, Dan Peterson e Giuseppe Vercelli, per intenderci) parlando di come dovrebbe agire buon Leader si sono soffermati a parlare anche del feedback.

Il feedback positivo, questo sconosciuto

Mi è capitato di leggere recentemente degli articoli sui benefici del feedback e di rimanere stupita dal fatto che si soffermasse solo sul feedback di miglioramento, quello negativo per intenderci, dove fai osservare solo i comportamenti che non vanno bene o sono appunto migliorabili.

Questo riflette un po’ la tendenza nel mondo aziendale, ma oserei dire anche nell’ambito personale, a concentrarsi su quello che non va, e di non rilevare ciò che va molto bene!

Il feedback di riconoscimento, o feedback positivo, si dà quando si riconosce una qualità positiva all’altro o lo incoraggia, indicando che quella è la direzione giusta.

È un ottimo modo per creare fiducia, spirito di collaborazione e squadra, di rafforzare una relazione, oltre ad essere utile per chi lo riceve in termini pratici (“finalmente sono riuscito a far bene quel report” “ora ho capito bene cosa voleva il mio capo”) sia perché la persona si sente riconosciuta per quello che fa.

Quindi abbondate di feedback positivi! Provate a prendere l’abitudine di darne almeno un paio al giorno.

Per un feedback perfetto!

Quindi qualche regola/suggerimento per dare un feedback efficace.

  • Il feedback si basa sull’osservazione e la rilevazione dei comportamenti e fatti concreti deve essere il più possibile oggettivo, concreto e specifico, come per esempio lo sforamento delle tempistiche, dei dati non corretti, una tabella poco chiara, la mancata applicazione di una procedura. Usa parole tipo “ho osservato, ho rilevato che..”
  • Chiediti innanzitutto se è utile e a chi: che obiettivo vuoi raggiungere con la tua comunicazione? Portare avanti il progetto, correggere un comportamento di un collaboratore, migliorare l’efficienza di una procedura, creare maggiore spirito collaborativo o di squadra, motivare un collega.
  • Il feedback non è un consiglio o un parere, deve essere il più possibile neutrale
  • Non è un giudizio. Non dare giudizi sulla persona “Tu sei così”, ma riferisciti ai comportamenti, soprattutto non usare parole tipo mai o sempre. Cerca l’apertura facendo domande. Ad esempio “ultimamente sei sempre in ritardo!” ma piuttosto “ho notato che ultimamente arrivi in ufficio più tardi del solito, c’è qualcosa che non va?”
  • È un’occasione di crescita sia per chi lo riceve che per chi lo dà.
  • In generale, sii più abbondate con i feedback di riconoscimento.
  • Prima del feedback di miglioramento, cerca di inserire sempre quello positivo (si, c’è qualcosa di positivo che puoi dire! trovalo).
  • Il feedback negativo va dato in privato, mai davanti a tutti o i colleghi perché risulterebbe umiliante e probabilmente otterresti l’esatto effetto contrario.
  • Può sembrare banale, ma non lo è: gestisci le tue emozioni e cerca di essere il più possibile calmo. Se alzi la voce o sei troppo “ruvido” probabilmente non verrai ascoltato.
  • Dai il feedback nel giusto contesto. Non aspettare troppo a fare quelle osservazioni o quel complimento, spesso è meglio affrontare subito le situazioni o sfruttarle per dare la giusta direzione alla squadra o al progetto.
  • Dopo aver dato il feedback chiedere alla persona cosa ne pensa di quello che hai appena detto, servirà ad aprire il dialogo e il confronto.

Hai anche tu delle tecniche per dare i feedback? Vuoi condividerle con me?

Se vuoi migliorare la tua tecnica nel dare i feedback o la tua comunicazione, scrivimi all’indirizzo cmelis@coachingpower.it per fare una chiacchierata senza impegno: troveremo la soluzione giusta per te!

 

 

ASCOLTARE PER COMUNICARE EFFICACEMENTE

Se vuoi mettere una marcia in più nella comunicazione con i tuoi clienti, colleghi e nel networking, devi lavorare sull’ascoltare attivamente

La prima regola della comunicazione dice “è impossibile non comunicare”, questo vuol dire che in realtà diciamo qualcosa anche quando stiamo in silenzio o mostriamo indifferenza, come ci muoviamo, le espressioni del nostro viso.

È quindi importante stare attenti al tono della voce che utilizziamo, alle parole che scegliamo, come le diciamo, lo sappiamo bene perché hai già fatto l’ennesimo corso di comunicazione efficace e sei scrupoloso nel prepararti il discorso sul magnifico servizio o prodotto da sottoporre al tuo cliente, o hai già una fantastica presentazione da fare al tuo capo, imparata a memoria.

E il tuo elevator pitch per il networking è magnifico, ovviamente!

La verità è che saper parlare in pubblico ed esporre un progetto è importante, ma uno dei segreti per avere una vera comunicazione efficace è ascoltare, e farlo in maniera attiva.

“L’incapacità dell’uomo di comunicare è il risultato della sua incapacità di ascoltare davvero ciò che viene detto.”

Carl Rogers

Quando ci mettiamo in relazione con una persona, la nostra comunicazione deve essere rivolta proprio a lei, che ci sta di fronte in quel momento, e l’unico modo per farlo è ascoltarla, con le sue esigenze, con il suo modo di essere, insomma dobbiamo conoscerla.

Se davvero vogliamo supportare il nostro cliente, dobbiamo capire quali sono le sue esigenze.

Per sapere quali sono le criticità del progetto che ci sta esponendo il nostro capo, dobbiamo ascoltarlo.

Per un leader poi, è fondamentale esercitarsi nell’ascolto attivo, perché solo da questo può nascere un feedback ben dato, di miglioramento o di riconoscimento che sia.

Cos’è l’ascolto attivo

L’ascolto attivo nasce da un porre l’attenzione non solo su quello che la persona dice, ma soprattutto su quello che non dice, perché, come suggerisce la prima regola della comunicazione appena citata, comunichiamo con tutto il corpo, il tono della voce, ma anche con i nostri comportamenti, ciò che facciamo, e anche che non facciamo.

Quindi il centro dell’attenzione si sposta da noi verso un altro.

Quante volte qualcuno ci sta parlando e stiamo pensando già a cosa ribattere, per spiegare le nostre idee, o alla lista della spesa, o ancora peggio, abbiamo il cellulare in mano dando una letta alle mail o a Whatsapp?

Non stiamo davvero ascoltando!

Come puoi fare per ascoltare meglio? Ascolto attivo, si, ma come?

Ti fornisco un paio di suggerimenti, non esaustivi, di come si può allenare l’ascolto attivo.

Si, è proprio un allenamento, più lo fai e più diventi bravo.

Innanzi tutto, cerca di entrare in empatia con la persona, cioè cerca di capire che emozioni sta provando, di metterti al suo posto, e di rispondere adeguatamente.

Questo lo puoi ottenere cercando un punto in comune, trova una frase per rompere il ghiaccio, chiedigli come sta la sua famiglia, osserva il suo ufficio, o qualcosa di lui. Qualcosa che faccia capire che ti interessi a lui. Fai tante domande

Alcuni suggerimenti quando stai per iniziare un colloquio:

  • Accoglilo e dimostra sincero interesse per lui. Se sei disinteressato o non stai ascoltando, probabilmente, anche se fai di tutto per nasconderlo, la persona se ne accorgerà.
  • Cerca di non giudicare o di non partire con dei pregiudizi
  • Svuota la mente prima di cominciare. Anche se ti è appena arrivata una mail sgradevole, o hai preso una multa, o hai un guaio da gestire, cerca di non pensarci in quel momento e di rimandare questi pensieri a dopo. Focalizzati sull’incontro
  • Non interrompere un flusso di pensiero. Non pensare alle possibili risposte non appena ti sta parlando, magari prendi una nota se hai delle domande da fare dopo, per poi riprenderla quando dovrai parlare tu
  • Fai tante domande. Ricordi? Sei lì per capire le esigenze di quella persona o per conoscerla
  • Guardalo negli occhi, ovviamente, e fai attenzione al linguaggio del corpo
  • Ascolta le tue sensazioni quando parli con lui

Ti viene in mente qualche altra “regola” per ascoltare bene? Sarò contenta se la vorrai condividere con me!

Ti lascio un esercizio: osserva due persone che parlano, e focalizzati sui loro comportamenti, sul tono di voce, sulle espressioni del volto, sui gesti che fanno, chiediti quali sensazioni stanno provando e quali provi tu come ascoltatore.

Poi chiediti e risponditi (alla Marzullo): Sono un buon ascoltatore?

Se vuoi condividi con me i tuoi risultati lasciando un commento, sarò felice di leggerlo!